L’editoriale di Alessia Bartiromo: “Quello sguardo malinconico di uno scugnizzo napoletano nello spogliatoio dell’Olimpico”

E’ lunedì sera, anzi, un atipico e calcistico monday night. Sono le 20.45 e sta per iniziare Lazio-Napoli. Come sempre, Sky si appresta a mandare le immagini dello spogliatoio partenopeo, con i giocatori azzurri che si preparano per scendere in campo. Lorenzo Insigne sceglie attentamente la magliettina in tessuto tecnico da mettere sotto la sua casacca gialla numero 24…apparentemente sono tutte uguali ma forse non per il fuoriclasse di Fuorigrotta che le scruta attentamente e le “sfoglia” rapidamente quasi come le pagine di un libro al quale presti poca attenzione perchè sei curioso di conoscere soltanto il finale. C’è chi si allaccia le scarpette, chi è concentrato come Reina, chi beve e chi sorride. Una calma apparente che palesa concentrazione e tensione agonistica per l’importanza del match che lì a poco sarebbe iniziato. Una persona però, cattura la mia attenzione: in un angolo, seduto con lo sguardo quasi perso nel nulla c’è Paolo, il capitano. Per me non è mai stato Cannavaro bensì solo Paolo, uno scugnizzo come tanti altri, proprio come lo ricordo quando lo vidi a Napoli la prima volta. Era il 2000, precisamente il 27 dicembre. Ero a Napoli e mi allungo alla Loggetta: avevo letto che la sera ci sarebbe stata l’inaugurazione della scuola calcio dei fratelli Cannavaro, aperta a tutti. Fabio all’epoca era già una leggenda, Cannavaro junior invece giocava nel Parma, scaricato dalla società partenopea. Convinta e rassegnata di trovare una ressa, arrivai nel noto quartiere di Fuorigrotta e tutto era animato da una sostanziale tranquillità. Ero una sedicenne timida ed insicura, così come Paolo. Fabio invece era un vulcano in esplosione, scherzava insieme alle signore ed ai ragazzini della scuola calcio, firmava autografi e versava spumante. Ebbi modo di rivederli altre due volte in giro per la città, sempre sorridenti e disponibili.

Se gli incontri con i fratelli Cannavaro con me sono stati particolarmente piacevoli, non si può dire il loro rapporto con la città di Napoli. Fabio è andato via nel 1995, dopo sette anni in azzurro, il suo azzurro. Anche Paolo è cresciuto nelle giovanili dove ha giocato dal 1995 al 1998, con l’ultimo anno in prima squadra. Poi la cessione al Parma così come successo al fratello ed il ritorno sotto l’ombra del Vesuvio nel 2006 in serie B. Una lunga storia d’amore con il club partenopeo, l’unico che può vantare di esser stato richiamato dal club di De Laurentiis, che da sempre si è imposto di non far tornare ex giocatori partenopei. Duecentotrentasei presenze e  ben otto reti, una promozione dalla serie B alla A, una doppia conquista di un piazzamento Champions ed Europa League, tanti big match dominati fino alla vittoria in Coppa Italia contro la Juventus, con il trofeo alzato proprio da lui sotto il cielo festante dell’Olimpico di Roma. Lui, il capitano, dalla storia sicuramente atipica. Tra tutti questi sorrisi infatti non è mancata l’amarezza di un approccio diffidente con i tifosi al suo ritorno in squadra, con sulle spalle il fardello per essere solo “il fratello di Fabio Cannavaro” e mai semplicemente Paolo. Quando finalmente si è fatto spazio con prestazioni di qualità e gran carattere, è stato fermato dall’accusa del mancato tentativo di denuncia della combine mai riuscita all’ex portiere Gianello fino a qualche sbavatura in campionato, l’avvento di Benitez ed una lunga panchina.

Paolo non è più il capitano, con la fascia che è andata al titolarissimo Marek Hamsik ed in suo assenza a Christian Maggio. Il principio di Benitez è sicuramente giusto ed insidacabile: gioca chi è più in forma, chi è più utile alla causa partenopea e chi al momento esprime più qualità. Se si vuole crescere è purtroppo da mettere in programma che possa arrivare un rinforzo più forte. Ma quegli occhi, sono davvero indimenticabili: era lo sguardo malinconico di uno scugnizzo napoletano, diventato un uomo senza il suo calcio, senza il suo Napoli. Caro Paolo, io scrivo a te: non ti rassegnare mai, così come i tifosi fanno con il Napoli. Arriverà il tuo momento e tornerai ad essere lo splendido capitano che alzava nel cielo di Roma una storica Coppa Italia.

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