“Arrestate qualsiasi tifoso purché sia…scalzo”!

Nel polveroso e affascinante libro dei ricordi legato alla sfera calcistica partenopea, brillano di luce propria quegli avvenimenti che oltre a destare gioie immense o cocenti delusioni, hanno portato a galla, attraverso alcune figure colorite e pittoresche, quegli aspetti che dipingono da anni il popolo napoletano come uno dei più appassionati, ma anche tra i primi a destare la simpatia e il buonumore generale. Da un’epoca lontana quasi un secolo, ripercorriamo con fare giulivo una delle “storielle” più spassose dei primi anni di vita della neonata società azzurra e dei suoi tifosi, affezionati guasconi del “popolino“, talvolta maldestri sostenitori dai modi discutibili, dettati da un attaccamento che spesso spingeva oltre l’umana comprensione. Fu così che il 24 Maggio del 1931, il Napoli si giocava allo Stadio Ascarelli del Vomero una buona fetta della sua, fino a quel momento, più che dignitosa stagione contro l‘Ambrosiana, l’anno prima campione d’Italia, grazie soprattutto all’estro e alla bravura di Peppino Meazza, il “Balilla” per i tifosi milanesi. A contrastare lo strapotere nerazzurro c’era l’oriundo paraguaiano Attila Sallustro, beniamino della folla partenopea che si accalcava sulle tribune di uno stadio gremito e pronto a festeggiare un evento atteso da molti, quella simbolica vittoria che significherebbe l’inizio di un avvicinamento a quelle che erano le potenti del calcio italico, ancora troppo lontane dalle concezioni tecnico-tattiche di quell’epoca.

Con la Juve già padrona del tricolore, il blasone ed il prestigio sono il premio per un match che comincia subito a sorridere agli azzurri, grazie proprio a Sallustro, il quale deposita in rete il pallone dell’1-0, che porta in visibilio i festanti supporters napoletani. Ma non avevano ancora fatto i conti con Meazza, il quale, durante la ripresa, dapprima riesce a pareggiare con una conclusione dalla distanza che sorprende il portiere Cavanna, che qualche minuto più tardi si vede addirittura soggiogare da una delle classiche azioni del “Balilla”, che dopo aver superato in dribbling tre calciatori azzurri, al cospetto dell’estremo difensore azzurro lo mette a sedere con la sua famigerata “finta di corpo” in grado di disorientare chiunque, serve il compagno Visentin che, indisturbato, mette la palla nel sacco, portando a mille la delusione di centinaia di sostenitori napoletani. Al malumore generale scaturisce ben presto anche la rabbia, colpa dell’atteggiamento non propriamente corretto di Meazza che, nel raccogliere palla per dirigersi a centrocampo, si rivolge verso le tribune gremite dai napoletani, fino a quel momento poco teneri con l’indimenticato campione,  impettito e spavaldo guardò con aria di sfida i suoi accusatori che, a detta di qualcuno, si videro rivolgere un inchino a mò di sberleffo seguito dal più offensivo gesto dell’ombrello che manda su tutte le furie la gente. Da quel momento la gara cambia, l’arbitro Scorzoni di Bologna viene accusato di non aver espulso il calciatore e la folla comincia ad andare oltre, con lancio di oggetti e consequenziale sospensione momentanea del gioco per intemperanze.

Na-Inter incidSi riprende a giocare ma l’ira non si placa, nonostante la stessa giacchetta nera conceda un generoso calcio di rigore che riporta in pari le ostilità, i tifosi si sentono offesi e presi in giro da uno dei simboli del calcio italiano, il più risentito di tutti sembra essere un esagitato supporters azzurro, tale Domenico Fenuta, il quale, per non essere da meno a tanti altri “lanciatori” di qualsivoglia tipo di oggetto, sfila dai piedi le sue scarpe e le scaglia alla volta del Sig.Scorzoni, che, sfortuna vuole, a causa della vicinanza delle gradinate dell‘Ascarelli al campo di gioco, viene colpito da entrambi, una al petto ad un’altra al mento, riscuotendo il plauso degli altri sostenitori, ignari osservatori del poco onorevole “cecchino da tribuna”. L’arbitro, suo malgrado, riesce a malapena a fischiare la fine della gara, per poi accasciarsi al suolo, intontito e disorientato dal terribile uno-due. Oggigiorno avremmo forse fatto leva sulla prova televisiva per individuare il colpevole e condannarlo attraverso il DASPO che ne vieterebbe l’ingresso negli stadi per diverso tempo, all’epoca, la presenza della milizia fascista, imponeva metodi ben diversi.

Fu deciso, seduta stante, di vincolare il flusso di gente ad una sola ed unica uscita, controllando così, uno ad uno, tutti i tifosi che s’avviavano all’esterno dello stadio, per individuare chi di essi fosse scalzo, con la volontà di bloccarlo e condurlo in qualche camera oscura a bere olio di ricino fino a quando non fosse convinto di aver fatto una delle cose più deplorevoli che potesse commettere, per divenire un monito anche per chi, in futuro, si sarebbe voluto lanciare nuovamente in un’attività violenta e sconsiderata come quella. Don Mimì Fenuta, annusata la brutta aria che tirava, incaricò due amici di andare subito a casa a procurargli un nuovo paio di scarpe che avrebbero evitato la galera e qualche brutta esperienza neofascista e, con l’aiuto delle aste delle bandiere che dal settore “distinti” sporgevano verso l’esterno, ebbe la geniale idea di farle salire attraverso di esseDon Mimì fa passare qualche minuto e poi, lentamente, si sposta verso le aste e con gesti teatrali dà inizio all’ammaina-bandiera, come un qualunque inserviente dello stadio, ma in realtà approfitta dell’occasione per gettare all’esterno uno dei capi della corda che reggono il vessillo azzurro. L’amico aggancia le scarpe e a Fenuta non resta che ripescarle con il cordoncino, riuscendo a portare a termine una delle più classiche “furbate” atte ad evitare guai, ricordando in alcuni tratti le geniali furfanterie ammirate nel cult movie di Nino Manfredi “Operazione San Gennaro”.

Ma le sorprese non finiscono qui, poiché le calzature procurate, per disgrazia del Sig.Fenuta, erano di qualche numero più piccole, pertanto lo “scarpinetto” per uscire dallo stadio diventa un’impresa ardua e pericolosa, ma qui subentra ancora una volta la fantasia tipica del napoletano messo alle strette, infatti questo signorotto, sempre più paragonabile alla maschera di Eduardo De Filippo, si finge sofferente e, rivolgendosi ad uno dei gerarchi che gestiva i controlli della milizia, esclamò con fare da attore drammatico:  “Eccellenza, faciteme ‘o piacere e mme rà ‘a precedenza: numme facite aspettà tutta chesta fila… Ie tengo certi calle che so’ gruosse comme ‘e cipolle e me fanno male assai. Il Gerarca, pur sempre uomo del popolo, comprensivo e magnanimo, autorizza il Fenuta a passare, indisturbato, attraverso i cancelli che portano all’esterno della struttura, riuscendovi così nell’inganno più tragicomico che si potesse avverare, attraverso un’interpretazione che al cinema avrebbe meritato l‘Oscar, il tutto avvenne anche sotto gli occhi dell’arbitro Scorzoni, accorso al fianco delle guardie miliziane per guardare in faccia l’astuto lanciatore, a cui non riuscirà mai a dare un volto. Soltanto dopo più di vent’anni, il Signor Domenico Fenuta ebbe il coraggio di raccontare questa storia ad un giornale cittadino, per non cancellare un ricordo che è testimonianza pura di napoletanità già dai tempi di “Pappagone“. Il gesto del lancio delle scarpe è senza dubbio da condannare, ma per una volta lasciateci sorridere e sdrammatizzare. E questo fu…

 

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