Quella nebbia che non ci faceva vedere la strada…

Abbiamo preso il biglietto, senza avere l’ombra di un minimo, impercettibile dubbio che il nostro posto doveva essere su quegli spalti. Tre sconfitte consecutive: Juventus, Parma e Borussia Dortmund. Due in campionato. Andavamo in un Olimpico in cui, in campionato, personalmente non avevo mai visto una vittoria. E ci andavamo senza Hamsik, ancora senza Zuniga e senza una buona parte del nostro gruppo. Ci siamo andati in due. Poi, il popolo delle trasferte è, più o meno, sempre lo stesso e, allora, ci siamo beccati sugli spalti con altri compagni di viaggio, ma da Napoli siamo partiti in due. Sotto una pioggia battente e un cielo coperto che non faceva intravedere spiragli di luce. Amici e parenti emigrati nella capitale mi avevano avvisato che a Roma ci sarebbe stato il sole, ma con il grigiore  che ci lasciavamo alle spalle non ci ho creduto. Fino a quando l’arbitro non ha soffiato per tre volte nel suo stridulo fischietto. A quel punto un raggio di luce ha inondato tutti noi.

Fino a quel momento, siamo stati attenti a non rovinare molte scaramanzie. La maglia era quella, la felpa era quella, il braccialetto era quello, la sciarpa e lo zaino pure. C’era un passaggio a pranzo da fare da una persona, che non avevamo mai fatto prima, ma sentivamo che avrebbe portato qualcosa di buono. E non era solo il cibo. In effetti, è stata puntuale la telefonata del post partita che mi invitava a pranzo prima di tutte le altre trasferte. E, così, abbiamo contagiato pure lei con i nostri riti allucinanti.

In tutti i casi, a Roma arriviamo volutamente presto. La baraonda della volta scorsa contro i giallorossi ci ha traumatizzato. Non abbiamo lasciato l’auto al parcheggio di via Schiavonetti, non ci hanno atteso degli autobus stracolmi e che sarebbero partiti solo quando sarebbe cominciata l’apnea per tutte noi sardine all’interno, non ci hanno controllato otto volte il biglietto, la tessera del tifoso e la carta d’identità, non ci hanno perquisito guardandoci come dei criminali, non ci hanno schiacciato ai tornelli a venti minuti dall’inizio. Non abbiamo rischiato di arrivare a partita cominciata. E’ anche vero che stavolta non ci hanno accolto con bottiglie di vetro e bombe carta e che la situazione è stata molto più tranquilla. Diciamo che i tifosi della Lazio avevano già altro a cui pensare. E direi che continueranno ad averlo.

Arriviamo a cancelli ancora chiusi, sbirciamo al di là delle sbarre e vediamo poliziotti e finanzieri, o, forse steward, in circolo che giocano a calcio. Non vorrei avessimo sbagliato partita. Li lasciamo divertire un po’ prima di entrare. Anche, perché, arriviamo davvero presto. Una volta dentro, un paio di controlli, due palpatine allo zaino, nessuna palpatina al cappuccio della felpa, come di solito accade, sorrisi e modi gentili. Sembra di essere nel film “ The Truman Show” o nel video “Lately” degli Skunk Anansie., avete presente? Lo trovo quasi inquietante, ma poi rinsavisco e realizzo che la normalità dovrebbe essere questa e allora entro, pendo il mio posticino e attendo impaziente l’inizio della partita tra una chiacchiera e l’altra. Il tempo passa velocemente, ma c’è stato un attimo in cui ci siamo tutti preoccupati. Abbiamo cominciato a guardarci negli occhi con un’espressione tra lo sgomento e lo spavento. Il nostro portiere era fuori per il riscaldamento, il loro portiere pure, la loro squadra anche, la nostra squadra, invece, non annusava neanche l’erba da lontano. “Ma non si riscaldano?”; “Forse fa freddo e stanno più caldi dentro”; “Qualcuno è vecchietto, può prendersi un malanno a sudare prima e durante”; “Benitez sta preparando l’ultimo spritz”. Insomma, sono state tante le ipotesi. La verità è che vorremo vederli sgobbare, sudare la maglia prima del necessario, sentirli gasati prima del previsto. Ed è per questo che ci sentiamo tutti allenatori, preparatori atletici, personal trainers. Che se, prima della partita, avessimo potuto avere Higuain a pranzo e a cena a casa nostra, lo avremmo costretto ad un digiuno che neanche Pannella riuscirebbe a minacciare di fare. E invece, dobbiamo fidarci. Almeno, io lo voglio fare. Almeno, lo voglio fare adesso. C’è la Lazio, siamo all’Olimpico e voglio vincere. Anche con autorete al 94°.

Ecco. L’autorete, chiaramente, la facciamo noi. Dopo un meraviglioso goal del Pipita. Che, dopo la partita di ieri, lo avremmo invitato tutti  a pranzo e a cena a casa nostra, offrendogli un vitello grasso che neanche il figliuol prodigo si meriterebbe. O Pannella dopo uno dei tanti digiuni. La partita è stata comunque sofferta, soprattutto perché abbiamo dovuto sopportare un estimatore di Armero che, con accento capitolino, ha continuato imperterrito, nonostante i nostri cenni di approvazione, a ripetere come un mantra: “ V’aaaaveevo detto che n’era bbono! Nun è er modulo de Benitez, è proprio lui che nun’ è bbono!”. Anche se, quando gli ha auspicato di prendere un rosso per toglierselo davanti, non ce l’ho fatta più e gli ho chiesto, di grazia, chi cavolo avrebbe giocato se l’avessero espulso. Papà?! E lui “No, Rivery”. E io che pensavo che ci fossimo limitati a chiamarlo “Yeyeyè”!

Un amico in settimana, dopo il Dortmund, aveva scritto che aveva dimenticato come si esultasse. Ieri ha potuto fare un bel ripasso. Ma credo che nessuno di noi ha compreso bene, e sabato vorremmo avere una ripetizione generale.

Tornando a casa, abbiamo attraversato lunghi tratti con nebbia molto fitta. Capita, a volte, che non riesci a vedere a un palmo dalla tua mano, che per quanto ti sforzi non riesci a guardare oltre, a capire se stai andando nella direzione giusta. Rallenti un po’, senza però fermarti, che può essere  pericoloso, lanci dei segnali agli altri per far capire che, nonostante un ritardo sulla tabella di marcia, ci sei e non hai mollato. E per fortuna, succede che la nebbia all’improvviso si dirada, ricominci a guardare lontano, hai una strada libera davanti a te, pensi che adesso è arrivato il momento di correre un po’ di più, che se hai buoni compagni di viaggio la stanchezza non la senti e che non devi fare altro che lasciarti la nebbia alle spalle. Sempre Forza Napoli.

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