Gonzalo Higuain e quella voglia matta di tornare al gol

Senza fretta, senza pausa e, casomai, andandoci pian pianino. Potrebbe esser questo un fermo immagine di pura attualità. Attenzione, maneggiare cioè con estrema cura: non perché sia (particolarmente) fragile, ma perché a tirare la corda non si sa mai sin dove la stessa possa reggere. E, se il sin prisa ed il sin pausa restano al momento d’obbligo (considerati gli interminabili tour con le nazionali), bisogna guardare anche e soprattutto in casa propria. E allora, quel bomber necessario come l’aria, un po’ Speedy Gonzalo, ma anche “torna, ‘sta squadra aspetta a te”, che se ne va in giro per gli States coi suoi connazionali (anche se nato a Brest in Francia), va ritrovato d’obbligo tutto intero e, possibilmente, non al di sotto della fatidica soglia del 75 per cento. Visto che i piccoli incresciosi precedenti inducono senz’altro a mantenere accesa la spia del “chi va là”, in vista della prossima delicata tre giorni. Prima Napoli-Parma per mantenere l’alta quota, e poi Borussia-Napoli, per provare a staccare in anticipo il biglietto della Champions, secondo atto. Occorre perciò ritrovare a Castelvolturno (domani o venerdì) un Higuain nel (quasi) pieno possesso di tutte le sue facoltà fisiche, ma anche bello carico e voglioso dal punto di vista mentale. E questa, sarebbe già una gradita premessa.
PERICOLO SCAMPATO – Allarme rientrato. E con esso anche quel sudore freddo che aveva contrassegnato la prima uscita amichevole (delle due) con la Seleccion. Nel New Jersey, stadio Metlife, contro l’Ecuador a scansare avvallamenti di un terreno “arrangiato” per l’occasione, fra insidiose alternanze di sintetico ed erba naturale. «Così non si può giocare, ho rischiato il ginocchio!». Il grido d’allarme di un Pipita parecchio rizelato, nato anche dalla consapevolezza di doversi preservare in vista dell’imminente rush azzurro. Tanto più che le sorti della sua Nazionale, in ottica Brasile, sono ormai definitivamente al sicuro. «Non si può giocare in certe condizioni e dopo un viaggio così lungo», il che non significa mettere le mani avanti, bensì guardarsi le spalle. E meno male che tutto è bene quel che è finito bene, ma con un filo di apprensione. Morale della favola: settanta minuti di insani slalom contro l’Ecuador (0-0 alla fine); e panchina, per grazia ricevuta, a St. Louis lunedì notte con la Bosnia (2-0 per l’albiceleste).
OTTOVOLANTE – Nel senso che di certo non può e non vuole fermarsi sul più bello. Otto centri con quella casacca azzurra che sente sempre più sua. Riepilogando: cinque in campionato (tre consecutivi a Chievo, Atalanta e Milan, e due al Torino) e tre in Champions (uno al Borussia e due nell’ultima col Marsiglia). Ma c’è anche dell’altro in tutto ciò. Il Pipita riesce ad essere già fondamentale, poiché sa segnare e “partecipa al gioco, aiutando la squadra a giocare meglio” (testo di Benitez). Oltre agli otto gol anche quattro assist, con quello di Firenze a Callejon (esterno destro a rientrare, dalla sinistra) che, se semplicemente descritto, non può rendere nemmeno lontanamente l’idea. Una meraviglia, da antologia.
IL RIENTRO – Uno o due giorni (solo) di allenamenti a Castelvolturno, prima di sabato notte. Però con accresciuta voglia, quella che non gli manca mai e che coincide il più delle volte con un’insaziabile fame. C’è da riscattarsi in campionato dopo l’inciampone con la Juve, c’è il Parma per provare a far nove in totale (o meglio dieci). Per poi volare a Dortmund bello carico, provando a non perdere il prezioso filo. Quello che può (ri)congiungerlo alla sua migliore versione.

Fonte: Corriere dello Sport

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