Napoli-Catania: 90 minuti in quattro messaggi…

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Dopo una breve, ma, vi assicuro, molto intensa, incursione nella tribuna stampa del Franchi di Firenze, torno a varcare il tornello della curva del San Paolo. Arriviamo a cancelli ancora chiusi ed entriamo per la prima volta che è già quasi buio. La gara contro il Catania riporta sempre alla nostra vulcanica origine: al fuoco, sopito per noi, ma solo quello della lava, ai continui spettacoli rossi per loro. Sarà per questo che il Catania, oltre all’azzurro, ha anche il rosso tra i propri colori. Il rosso della lava che sgorga lungo le rughe dell’Etna. Insomma, ieri è stato subito chiaro che i cori di stima ascoltati per l’ennesima volta anche a Firenze, li avremmo potuti per una volta dimenticare, lasciando il posto a reciproci gesti di fratellanza. E, allora, due ore prima della partita, i catanesi sono già dentro e cantano il nostro omaggio al Vesuvio, noi applaudiamo.

Fatti fuori i convenevoli, entriamo nel vivo del pre-partita e a farla da padrone, chiaramente, il rigore non dato alla Fiorentina. Siamo tutti d’accordo che sarebbe stato sacrosanto, come quello su Mertens precedentemente. Siamo tutti d’accordo che questo è un Napoli che sa anche resistere e soffrire. Siamo tutti d’accordo che adesso, però, può anche bastare. Eravamo d’accordo noi, ma non gli azzurri in campo che, per l’ennesima volta, portano a casa un 2-1 subendo quasi niente, è vero, ma sbagliando famelicamente l’impossibile. Complice anche un Andujar, migliore in campo. Ma non anticipiamo i tempi, che sugli spalti si sta ancora salutando gente che viene da Bologna, da Verona, dalla Loggetta. Notiamo uno dei nostri che, per la prima volta a memoria umana, abbandona la tuta d’ordinanza e indossa un jeans. Alla nostra richiesta di spiegazioni, una risposta secca e ovvia che ci spiazza: “E dopo usciamo!”. Già, parteciperà anche lui al nostro post-partita a sapor di luppolo e allora d’obbligo farsi bello. Onorati! Le ore scorrono veloci tra chi legge un libro, chi gioca col cellulare, chi si addormenta stesa sui sediolini, chi si trucca e accavalla gambe a caso. Un manicomio, più che una curva. Questo cerca di distrarci dalla partita, ma quando si sente il fischio d’inizio siamo tutti occhi sul campo, consapevoli che, dopo aver saputo del goal di Pogba e della vittoria della Juve, i tre punti sono un dovere e una necessità.

E allora, un-due-tre CRAC! Mesto è a terra che chiede il cambio. In una partita in cui Maggio è squalificato e Zuniga è già in infermeria, la prima bestemmia parte liscia e senza ostacoli. E una domanda negli occhi di tutti. “E mo?”. Benitez sa che stiamo tutti col fiato sospeso e allora decide di darci il colpo di grazia facendo entrare Uvini. Non dite che non siete rimasti a bocca aperta tutti quando l’avete visto entrare… Entra per la prima volta, in un ruolo non suo, piccolo e indifeso. Ma se Benitez gli dà fiducia, gliela diamo pure noi. E il tifoso napoletano si sa, deve ironizzare e sdrammatizzare qualsiasi cosa. E allora quel povero Uvini l’ho sentito inzialmente chiamare Tavernello, poi Lacryma Christi, rivelandolsi alla fine un buon novello, che non lascia esterrefatti, ma non porta neanche il mal di stomaco. Al ragazzo gli sudavano le mani, tant’è che gli scivola il pallone prima di una rimessa laterale, viene guidato parecchio dalla panchina sulla posizione, in un paio di occasioni spostato fisicamente da Fernandez che, ormai, è sicuro di sé come non lo si è mai visto da quando è a Napoli, subisce un tunnel in occasione del goal del Catania, ma poi piano piano capisce che sta giocando nel Napoli, al San Paolo, contro un avversario non irresistibile, ha la fiducia del mister, ha anche gli applausi dei tifosi. E allora Uvini si ubriaca di autostima e finisce la gara in modo soddisfacente. A fine partita dichiarerà di avere così tanta voglia di giocare che sarebbe entrato anche al posto del portiere. Io gli voglio bene a uno così.

Ma chiaramente gli spalti impazziscono  sul serio sui due goal capolavoro. Il primo, quello di Callejon, è un tiro che sorprende tutti, non perché non siamo ormai rapiti da questo nuovo numero sette, ma per la rapidità di pensiero e la bellezza della traiettoria. Il secondo, quello di Marek, perché è il ritorno di una delle sue bombe, finalmente. Poi il delirio è tutto mio, lo ammetto. Volevo segnarne altri ventisette, volevo perdere quel minimo di ugola che mi restava, magari, per una punizione di Insigne come contro il Borussia, ma il litigio è competizione e che ben venga. Avrei voluto tornare a casa e riascoltare almeno altri cinquantaquattro boati del San Paolo. O almeno uno sotto la curva nostra. E allora m’arrabbio, sbraito, ho il mio quarto d’ora di follia e di nervosismo, spavento povere ragazze indifese, chiedo anche scusa. Al triplice fischio, o poco dopo, mi tranquillizzo. Tre punti importanti e domenica ci scanniamo contro quelli lì. Passando per il Marsiglia. Che è una buona notizia, perché vuol dire che tra tre giorni saremo di nuovo lì, ai nostri soliti posti.

Durante la partita, aggiornavo tramite messaggio un amico che per un po’ sarà lontano dalla sua famiglia di curva per motivi lavorativi e non poteva vedere la partita. L’ho aggiornato così, in sequenza:

1) Callejoooooon!!C’ beeeeep ‘e goal!!!

2) Hamsiiiiiik! N’atu beeeeep ‘e goal!!!

3) 2-1

4) Finita. Tre punti per noi e mo aspettiamo i giallorossi.

I suoi di risposta, grazie all’efficientissima e rinforzata linea telefonica del San Paolo, mi sono arrivati tutti insieme e dopo. E io li ho letti in questa sequenza:

1) Cuori azzurri a iosa

2) Bestemmia irripetibile causa squalifica della rubrica

3) Ma perché pure con questo Catania dobbiamo soffrire?

4) Forza Cerci.

Un buon riassunto, direi. Forza Cerci. E forza Napoli!

 

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