L’editoriale di Deborah Divertito: “Il canto di Partenope miete nuove vittime”

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Partenope era una sirena.  La leggenda vuole che sia stata trovata morta sull’isolotto di Megaride,  dove oggi sorge Castel dell’Ovo, e lì sepolta. E come tutte le sirene, aveva un canto ammaliante, struggente e che non lasciava nessuna scelta a chi l’ascoltava, se non quella di seguirla ed innamorarsene. E perdersi definitivamente. Oppure resistere con qualche espediente, come fece Ulisse. Il cui rifiuto, secondo una delle leggende, provocò il suicidio di Partenope. La sua storia, quindi, da bella e dannata si tramuta, per amore, in una storia di sofferenza e dolore.

Ognuno di noi, napoletano di nascita o di adozione che sia, deve fare i conti con quel canto travolgente di Partenope. O te ne innamori e ti abbandoni ad essa, rischiando di distruggere te stesso, o distruggi lei con l’indifferenza e la noncuranza. Certo, parliamo di miti e leggende. Ma il simbolismo è tanto e i miti e le leggende non nascono mai per caso.

Io sono una di quelle che non solo ascolta il canto della sirena adagiata sul mare del nostro Golfo, ma spesso cerca di impararne il trucco e di contagiare altri malcapitati. Non solo, sono una di quelle che si compiace quando la sirena miete altre vittime inconsapevoli. Come se stare in buona compagnia alleggerisse un po’ il fardello delle conseguenze. Infine, sono una di quelle che sorride, per una volta non amaramente pensando alla nostra sirena, quando vede che ad apprezzarne il richiamo è una persona che guida l’altra passione di questa città e della sottoscritta. Il Napoli.

Insomma, posso ammirare, sorpresa e compiaciuta, un turista spagnolo che gira la mia terra, felice di quello che vede. Un turista spagnolo speciale, si capisce! Uno che,  oltre a goderne per sé, comunica agli altri, non solo napoletani, ciò che lo entusiasma. Twitta, scrive sul proprio sito, non aspetta a condividere le bellezze della nostra Partenope. Anche sconfinando un po’, come nel caso della Reggia di Caserta. Un turista spagnolo che, una volta finiti i suoi giri, riveste l’abito da allenatore e guida l’azzurro del Napoli, in Italia e in Europa, non sapendo che  parte del nostro orgoglio lo sta già mostrando a tutto il mondo, facendo, semplicemente, il turista. Il caro Benitez, con quella camicetta a quadri che fa già tendenza, con quelle gote rosse che fanno tanto simpatia e “un buon bicchiere di vino” e quella pancia prominente che fa tanto convivialità e “sotto il vino, una bella braciata di carne”, continua a conquistarci tutti e, soprattutto, a sbatterci in faccia quello che ci siamo persi, in anni di provincialismo chiuso in casa a meditare sulla prossima finale e neanche un giorno a respirare l’altro azzurro di questa città, quello del cielo e del mare. Sembra quasi che Benitez dia i giorni liberi ai propri giocatori in funzione delle sue visite guidate. Certo, i più polemici storcono il naso. Troppo riposo e poco allenamento. Oppure, si potrebbe pensare che poco interessa che l’allenatore conosca la città, ma l’importante è che conosca la squadra e le avversarie. Vero. Ma non dimentichiamo che noi siamo figli di Partenope: alla sua stessa stregua, catturiamo chi sa abbandonarsi alla passione e all’amore, rapiamo chi riesce ad identificarsi in noi e a capirci fino in fondo, abbracciamo chi sa portarci nel cuore. E allora, che il canto della sirena più bella del Golfo e dei suoi figli, possa continuare in eterno.

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