La sonata di Smailovic tra le macerie, poi la Bosnia ai mondiali

Evstafiev-bosnia-celloFu nel 1992 che Vedran Smailovic suonò il violoncello nella Biblioteca Nazionale di Sarajevo. Le sue fotografie fecero il giro del mondo. Riuscì a stento a trovare un cumulo di macerie dove poggiare il suo strumento e iniziare a suonare l’Adagio di Albinoni, dentro una delle sezioni sventrate dai bombardamenti. “Uniche amiche le macerie”, per il musicista che si sistemò per ventidue giorni sotto il cielo di Sarajevo, nella Bosnia dove nello stesso anno era stata bombardata la sede del parlamento insieme ad altri simboli di uno dei territori più tormentati dalla guerra della ex Jugoslavia.

La vecchia Jugoslavia non era più la Jugoslavia. Non era invecchiata, era morta. Il mondo stava assistendo al suo declino, i geografi lavoravano già agli atlanti per il dopo muro di Berlino, la Russia sovietica non esisteva più e con le nuove cartine erano cambiate molte altre cose.

Sarajevo nei giorni di guerra era infestata da mine e da tiratori scelti. Il mondo si interrogava sulle sorti di un punto strategico dei Balcani, nessuno riusciva a sostenere con chiarezza le ragioni politiche di una parte o di un’altra fazione, mentre le rivalità religiose, gli interessi economici, le rappresaglie contro i civili, il tiro a segno dei cecchini, la miseria e la malinconia, dentro un luogo di guerra visibile dalle nostre finestre, facevano da attori brutali in quell’inquietante teatro di guerra, come abilmente raccontato da Martone nell’omonimo film, dove la tragedia de “I sette contro Tebe” diventa il rievocativo parallelo al tentativo, da parte di una compagnia teatrale napoletana, di portare il teatro in quelle regioni in tragedia.

Vedran Smailovic suonò il suo violoncello per ventidue giorni, uno per ogni vittima di una strage compiuta a danno di ventidue civili che stavano facendo la fila per il pane. Ventidue sonate per ogni civile finito sotto il fuoco. I serbi davano la caccia ai bosniaci musulmani e la città scompariva poco a poco sotto i colpi di centinaia di raid ogni giorno. Il gesto di Smailovic ispirò altri musicisti, che gli tributarono nuove composizioni, canzoni, versi, facendo del gesto di Vedran la nobile bandiera di un’azione artistica postuma, giunta dopo la distruzione per ricostruire.

Quello che è passato alla storia sotto il nome di “Assedio di Sarajevo” durò più di tre anni. decine di migliaia di vittime e una città rasa al suolo. Intorno, la guerra della ex Jugoslavia. Alla fine dei conflitti, i geografi dovettero ridisegnare le carte e le mappe, mentre la politica dovette riscrivere la storia, scegliendo con difficoltà chi avrebbe dovuto vestire i panni del vincitore.

Quando la guerra finì e le cartine geografiche ripresero ad essere più chiare e definitive sopra gli atlanti, ricominciò pure il calcio, con nuove selezioni nazionali e nuove convocazioni per calciatori che vestirono due maglie nazionali diverse, separate da una guerra costata centomila morti.

Adesso, a distanza di otto anni dalla fine della guerra, nella ex Jugoslavia, che prima del conflitto era una grande squadra, un pezzo della sua storia è tornata tra le grandi del mondo, almeno per il mondo del pallone. La Bosnia si è qualificata per i Mondiali di calcio che si terranno in Brasile nel 2014. La “piccola” Bosnia giocherà la fase finale a gironi. Gli atlanti sono cambiati, ma le guerre non sono finite. “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Eppure, qualcuno sopravvive. A pezzi, ma sopravvive. In silenzio, ma sopravvive, come le macerie di Vedran Smailovic. Lo ha scritto pure José Bergamin che “Per fare musica la prima cosa è non fare rumore”.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka  

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