Vajont, di quella sera quando scomparve tutto

vajont-959x600La sera del 9 ottobre del 1963, alle 22 e 39 circa, mentre quasi tutti gli abitanti di Longarone erano nelle loro case, un’improvvisa inondazione di acqua e di fango, uccise più di millenovecento persone nella valle del Vajont.

Quelle raggruppate nei bar che a quell’ora stavano trasmettendo la differita della partita di Coppa dei Campioni, tra Real Madrid e Rangers Glasgow, e quelle più distanti rispetto al luogo subito colpito dalla caduta, ebbero appena il tempo di affacciarsi in strada per andare incontro all’onda terrificante che di lì a poco li avrebbe sepolti per sempre in quella valle dove fino a quel momento avevano regnato la serenità di un piccolo paese del Veneto, il tempo della costruzione della diga e le diffidenze sui lavori, poi rivelatisi assai discutibili, espresse da chi a lungo aveva dovuto sopportare l’onta di non essere creduto e di essere giudicato in malafede.

Pure Dino Buzzati e Indro Montanelli dubitarono di Tina Merlin, quando la giornalista si espresse con netta diffidenza nei confronti dell’opera di ingegneria civile portata a termine su uno dei versanti del monte Toc.

La diga lassù, in quella sera di tremenda rivelazione, sopportò a malapena la tracimazione dell’acqua all’interno del lago artificiale che versò il fiume in piena che travolse gli abitanti del fondovalle. Alle spalle del lago, milioni di metri cubi d’acqua furono scossi dalla frana che provocò l’inondazione, e giù, nella quiete di un piccolo paese della provincia italiana, la valle del Vajont si trasformò nel luogo di raccolta di tutta l’acqua tracimata da lassù.

Longarone, Castellavazzo, Pirago, Villalta e altre frazioni della valle, fino al Piave, furono colpite dall’inondazione. L’acqua portò con sé tutto, comprese le millenovecentodieci vittime di quell’immane disastro. Tra quelle persone, c’erano anche alcuni dei calciatori di una squadra che stava diventando ragione di soddisfazione per gli abitanti di quelle frazioni. L’Acli Calcio, che era stata promossa in seconda categoria e che aveva tra le sue file alcuni giocatori sui quali anche le squadre di serie A avevano messo gli occhi. Pare che il cannoniere Giorgio De Cesare fosse in attesa di un provino del Bologna, che ne era rimasto impressionato, soprattutto dopo aver saputo che l’attaccante aveva segnato 5 reti in una sola partita.

I gialloblù dell’Acli Longarone persero molti dei loro beniamini. Roberto Trevisson, Renato Piva, Angelo Oliver, lo stesso De Cesare, scomparvero nell’onda che quella sera travolse le abitazioni della valle di Erto e Casso. Franco De Biasio, che allora aveva 18 anni, fu tra i sopravvissuti. Si salvò perché in settimana studiava a Conegliano e quella notte non era in casa. Franco perse i genitori e la sorella, oltre a tanti altri parenti e molti amici.

Chi quella notte non era lì, al suo ritorno non trovò che lo scheletro di una piccola cittadina ai piedi della montagna. Poche fondamenta ricordavano a chi arrivò il giorno dopo che quello era stato un paese con case, bar, ristoranti e un campo di calcio. Oggi il Longarone continua a giocare a calcio, in terza categoria, in una cittadina che ha ripreso a vivere, e che a suo tempo decise di non farsi cancellare definitivamente da quella notte. La negligenza, l’approssimazione, l’interesse economico e la malasorte, causarono una tra le più grandi tragedie dell’Italia del dopoguerra. A pagare, furono gli assenti alle decisioni peggiori, come molto spesso accade.

Nelle “Città invisibili” Calvino scrive che “Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure”. Nel Vajont del ’63 qualcuno forzò i desideri e qualcuno ebbe paura.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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