L’editoriale di Elio Goka: “Codice ultrà, da Shakespeare a un gioco serio ridotto a uno scherzo”

editoriale_elio_goka-300x150Una volta scrissero che “Giulietta è una zoccola”. E lì avrebbe dovuto offendersi Shakespeare, o al massimo qualche movimento femminista in difesa del sentimento della donna. Le sanzioni sarebbero scattate contro i teatri e i copioni. Già lo immagino. Chiuso il San Carlo per una prima e due settimane di ferma alle penne dei drammaturghi napoletani. Al massimo, sarebbe stata questa la squalifica per l’offesa alla Giulietta veronese.

Una volta, prima di un Napoli-Juve, vidi uno striscione con su scritto “Noi mille colori, voi solo in bianco e nero”. Un’altra volta ne ricordo uno, sempre a firma napoletana, con una frase del tipo “Volevamo stupirvi con effetti speciali, ma siete solo in bianco e nero”. Qui, al massimo, avrebbero potuto risentirsi i produttori dei televisori vintage, o qualche vecchio affezionato a Carosello. Comunque una volta se si voleva fare ironia sull’ignoranza altrui, si faceva in un’altra maniera. Forse saranno cambiati i tempi, forse l’imbarbarimento da molti è considerato un modo nuovo di fare sfottò. Beati loro, che ancora ci credono.

Il messaggio di solidarietà del “Napoli colera” firmato ultrà a mo’ di pizzino pubblico, con quello striscione in bella mostra, mi ha fatto venire in mente le nostre città, quelle dell’hinterland, quelle del meridione intero, di tante persone che conservano origine e destinazione con imbarazzo, talvolta imparando a convivere coi luoghi comuni più volgari e le dicerie più stupide. Siamo così sicuri che un’intera tifoseria, in questo caso un’intera città, si siano sentite così ben rappresentate dallo striscione della curva B? Non credo. Se mi metto per un momento a pensare a quelle che furono le giornate del colera, la questione dei rifiuti e ogni altra ragione di presunto “sfottò” a portata di antimeridionalismo su vasta scala, di certo mi viene poco da ridere, come poco da ridere mi veniva ogni volta che capitava di leggerlo negli altri stadi, di ascoltarlo da altri cori.

Stavolta che quella frase è spuntata a mo’ di manifesto del codice ultrà, per solidarizzare con chi l’ha usata per decenni, con chi l’aveva fatta sempre franca fino a qualche tempo fa, mi viene da riflettere su un capovolgimento, che davanti a tutti dice a voce alta “volevate la punizione per chi vi insultava e adesso che l’avete ottenuta dite il contrario?” E tutto questo perché gli ultrà devono solidarizzare fra loro, in virtù di una specie di codice privato che non tiene conto del rispetto per se stessi, per la città, per le violazioni del passato.

Magari gli stessi ultrà li vedi sventolare la bandiera del Regno delle due Sicile, gonfiarsi di rabbia contro le celebrazioni dell’unità d’Italia e poi solidarizzano con i milanisti per la chiusura di una curva e lo fanno a tal punto da insultarsi da soli. Perché? Per il codice ultrà, per la salvaguardia dello sfottò. Tutto questo, francamente molto poco, al di sopra di ben altri argomenti, ben altre sensibilità. Allora viene il dubbio che questo codice ultrà, tanto sbandierato da essere la norma primaria della convivenza di una parte delle tifoserie, forse potrebbe essere qualche altra cosa, qualcosa che gli ultrà li raccoglie, sotto bandiere che non sempre hanno a che fare col calcio.

Davanti a certi dettagli diventa tutto trasversale, pure “l’equivoco del mito”, che per Carmelo Bene rendeva il calcio, a suo dire, un gioco vero soltanto per i bambini, mentre per gli adulti sarebbe faticoso considerarlo tale, se non uno scherzo. Ecco, uno scherzo. Come dicono gli ultrà. Uno sfottò. Bella maniera di diventare adulti.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka  

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