L’editoriale di Ivan De Vita: “Torna in campo il turnover. Sarà maturato?”

editoriale_ivan_de_vitaIl sole all’orizzonte, appena oltre la collina domenicale. L’attesa spasmodica in città, le corse ai botteghini, i trailer da brividi in giro per il web non sono altro che i primi raggi di luce. Affrontare vis à vis i vice-campioni d’Europa è solo l’ennesima carezza di Aurelio De Laurentiis in 10 anni d’amore con il suo Napoli. Ma questa volta non ci si vuol presentare a capo chino come l’umile servo al cospetto della Regina. Non solo partecipare, ma spaventare e se possibile sgambettare. Giocarsela convinti dei propri mezzi. Senza pretese. Senza timori.

Alla base di un proficuo cammino in Champions che non intacchi le prestazioni in campionato c’è una sapiente gestione di energie fisiche e mentali. Ed ecco tornare in voga il nostro tallone d’Achille degli ultimi anni: il turnover. Già solo la traduzione del concetto anglosassone è subdola e va correttamente contestualizzata. E’ chiaro che nel calcio va inteso come “rotazione” degli uomini, ma tra i petali del suo significato compare anche un sibillino “capovolgere”. Bene, visto che in passato qualche mister ha generato un po’ di confusione, meglio far chiarezza.

Turnover non vuol dire snaturare la propria squadra tipo e infilare in un sol colpo tutti i cosiddetti “sostituti”, spedendoli in giro per l’Europa come fosse un InterRail. Di questi tempi l’anno scorso iniziavamo ad ingoiare grossi bocconi amari a causa di una politica tecnica e societaria almeno discutibile. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che si trattava di Europa League, competizione convenzionalmente di minore appeal. Due anni fa, quando l’urna di Nyon ci scaraventò in pasto ad  un girone sanguinoso con Bayern, Manchester City e Villareal, i risultati furono decisamente più positivi. A tratti epici, oserei dire. L’esperienza meravigliosa fuori dai confini nazionali fu duramente scontata a suon di battute d’arresto nella seconda parte del campionato. I calciatori azzurri di maggior caratura e carisma, quali Hamsik, Lavezzi, Cavani, Maggio, Cannavaro, subissati dai minuti giocati fino ad allora, sono stati costretti ad alzare bandiera bianca e lasciare il Napoli scivolare malinconicamente fuori dalla zona Champions.

Il primo vero segnale di cambiamento dal nuovo corso Benitez si deve riscontrare proprio in questa proverbiale defaiance. La squadra partenopea è stata costruita in estate seguendo le direttive del tecnico spagnolo, plasmata sul doppio impegno settimanale e quindi puntellata degnamente (forse) in ogni reparto. Tutti devono poter rifiatare senza sconvolgere l’assetto ed evitando che la macchina vada fuori giri. In fondo Rafa è un vecchio lupo europeo, un asso di coppa che con il giusto materiale a disposizione sa come far “ruotare” senza “capovolgere”. In fondo quel Liverpool padrone del continente disponeva di un solo campione (Gerrard), qualche ottimo calciatore (Luis Garcia, Kewell, Baros) e un gruppo di gregari costantemente alternati. La forza inaffondabile del collettivo, ciò che alle pendici del Vesuvio non è mai mancato.

Dentro i rinforzi. Dentro il valore aggiunto. Il noioso termine “titolarissimi” lascia spazio alle mille zampe di uno scorpione, allungate e ritratte a seconda dell’esigenza. Il peperino Dries Mertens scalpita e sarà lanciato sabato sera al posto del fido Callejon. Dzemaili sostituirà uno dei due cani da guardia in mezzo al campo. Capitan Cannavaro riprenderà il suo posto al centro del pacchetto arretrato, probabilmente accanto ad Albiol. Dopo tante chiacchiere ora sta solo a lui rimpossessarsi di quella maglia, esortato anche dalle parole del fratello Fabio. Maggio e Mesto si contendono la fascia destra, sull’altra corsia è molto probabile l’impiego di Armero, aggregatosi al gruppo 48 ore prima di Zuniga. Hamsik e Higuain paiono ancora inamovibili, ma pian piano saranno altresì centellinati.

Nei prossimi dieci giorni il primo autentico banco di prova per il mercato azzurro. Nessuna rivoluzione, solo oculato utilizzo delle proprie pedine. Prediligendo meglio che in passato l’aspetto psicologico. Affrontare l’Atalanta con la concentrazione, la vena agonistica, la fame tipica di una gara europea. Serve il giusto equilibrio e un allenatore capace di tenere sempre tutti sulle spine, di rendere ogni avversario un ostacolo da abbattere a prescindere dal blasone. Perchè vincere, si sa, aiuta a vincere. Dopo i bergamaschi, doppio salto mortale con Borussia e Milan. L’appetito vien mangiando.

Ivan De Vita

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