Esclusiva SN – Franco Del Prete: “Per me l’arte è pensare sempre le cose migliori. Passione sportiva? Ai meridionali dico di sostenere sempre il sud”

Del PreteFranco Del Prete è uno tra i più importanti musicisti napoletani. Nella sua lunga carriera ha aperto le strade ai fenomeni musicali del “Neapolitan Power”, The Showmen e Napoli Centrale, fino a Sud Express. Ha scritto canzoni per Lucio Dalla, Tullio De Piscopo, Raiz, Enzo Avitabile e Beppe Barra. Ha suonato con James Senese, Mario Musella, Pino Daniele, Gino Paoli e tanti altri artisti di fama internazionale. La sua musica “nera” ha fatto il giro del mondo, grazie alla sua inimitabile batteria.

 

Franco, tu vieni dalla musica appresa dentro i garage e gli scantinati, figlia di un sacrificio e di una scuola cresciuta per le strade e nelle esperienze più profonde. Come guardi ai giovani apprendisti di oggi?

Prima era più difficile fare musica perché mancavano le risorse, era più complicato trovare luoghi accoglienti e funzionali per registrare. Oggi è più semplice, ma allo stesso tempo, paradossalmente più difficile, perché tutti possono fare musica, tutti possono registrare, potendo accedere a strumenti all’avanguardia e alla tecnologia, oltre che a luoghi più comodi. Ma i messaggi sono pochi. Quelli veri, quelli che hanno grandi significati sono più rari. È come se i tanti che oggi vogliono fare musica non avessero molto da dire. Quando suonavo io da ragazzo intendevamo la musica come una cosa che faceva parte di noi. Tanti anni fa la musica era la vita. La mia esperienza è stata straordinaria perché ho avuto a che fare con grandi artisti. Ricordo che quando mi vennero a cercare Mario Musella e James Senese, suonavo con Rolando Pironti, grande cantante, al quale dissi che avrei seguito loro, questi nuovi musicisti che avevo conosciuto e che mi avevano fatto conoscere un disco di Ray Charles, “Genius + Soul = Jazz”, che non potrò mai dimenticare, perché ha cambiato la mia vita di artista. E suonando con Musella e con Senese ho potuto scoprire la mia natura. Oggi è questo che non si fa più. Non si segue più l’istinto. Quasi tutti preferiscono andare sul sicuro.

Un musicista può far parte di un gruppo o suonare da solo. A prescindere da tutto, presto o tardi gli capita comunque di doversi sentire solo, di dover far fronte a una difficoltà senza che qualcuno lo soccorra. È uno dei timori degli artisti. A te quando è capitato di sentire il peso della solitudine nella musica?

Il peso della musica e della responsabilità lo sento sempre. Non cambia. Lo avverto a ogni concerto, in ogni momento. Lo dico sempre, che bisogna “farsi suonare”, che non bisogna soltanto pensare a fare il proprio lavoro e basta, ma amalgamarsi con chi sta suonando insieme a te in quel momento, riuscendo a capire quando separarsi e quando seguirsi. “Venire suonati”, è questo che ti consente di sentire fino in fondo quello che fai. Se invece chi suona con te non riesce a fartelo percepire, allora ti appendi alla possibilità di limitarti a fare il professionista e basta.

Tu suoni da cinquant’anni. Hai incontrato grandi musicisti che non ci sono più. A un certo punto, quelli come te, nel silenzio generale dei cambiamenti, diventano trasversali. Le prossime generazioni avranno a disposizione un altro mezzo secolo per esprimersi come è stato possibile per quelli come te?

Per come si fa la musica oggi, è difficile. Oggi vedo il buio. Le case discografiche non investono più come si faceva una volta. Quando suonavo con gli Showmen ricordo che fummo scoperti da un talent scout. Allora agenti di ogni regione andavano in giro per scovare nuovi talenti. Oggi tutto questo non esiste più. I talent show lo hanno distrutto. Basta fare una ventina di trasmissioni televisive, lanciare un personaggio e investire in pubblicità. Ma la musica?

Credi che esista ancora una Napoli “d’altri tempi”? E come credi che la città possa affrontare l’eterno tormento delle sue contraddizioni riuscendo a salvaguardare l’idea di un rigore artistico sempre più di raro riscontro?

Il problema di Napoli è la criminalità. Per me resta la prima questione da affrontare. Per quanto riguarda la musica, Napoli è una città straordinaria, perché conserva ancora tanti musicisti talentuosi e ne scopre sempre tanti, e dei migliori, ma che non riescono a farsi strada, perché a Napoli non si investe, non si creano opportunità. E la colpa è anche un po’ nostra, perché non riusciamo a capire che forse sarebbe meglio se ci aiutassimo, aprendo spazi anche per i più giovani. Una cosa però mi ha sempre colpito. Ricordo che una volta presentai un mio progetto a Renzo Arbore, il quale ne fu molto entusiasta, e volle a sua volta presentarlo ad altri. Nonostante fosse di qualità, il problema era il fatto che fosse scritto in napoletano. Fino agli anni ’70 tra la gente del sud e quella del nord si usava darsi dei terroni e dei polentoni, oggi ci si dà del camorrista e del razzista. Quel modo di offendersi veniva comunque da una terminologia della terra, una maniera più genuina di insultarsi, più umana. Oggi invece a causa di una classe politica incosciente ci siamo avviati verso un imbarbarimento dei tempi.

Cosa pensi del fatto che i napoletani conferiscono alla passione sportiva un valore quasi politico?

Rispetto alla passione sportiva ho sempre trovato assurdo che una persona del sud tifi una squadra del nord. Chi fa questo non capisce il senso della rappresentanza, la chiave di lettura civile di una rivalsa, sia pur sportiva. Se vince una squadra del sud sono contento perché vince il sud e ne dovrebbero essere felici tutti i meridionali. Le squadre del nord rappresentano il potere, per questa ragione un successo sportivo del meridione è giusto che sia letto come una forma di rivincita.

Franco Del Prete fa musica da mezzo secolo. Per lui è una religione. Nonostante i successi e tutto quanto consegnato alle nuove generazioni, a lui interessa una sola cosa, “Riuscire sempre a pensare e a eseguire cose migliori, sentendole proprie. In fondo la grande necessità è questa, al di là delle verifiche del successo”. Franco Del Prete ha conosciuto il sentimento artistico, e non ne fa un mistero. La redazione di Spazio Napoli lo ringrazia per questa intervista.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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