Mattia Repole e l’ennesimo “non è possibile”

logo-tondo-accademia-grande-torino-602x602Mattia Repole, quattordici anni e l’ennesimo “non è possibile”. Quando un ragazzino se ne va da un momento all’altro, in circostanze improvvise e impreviste, le esclamazioni fanno appello a tutti i luoghi comuni più spontanei e ingenui di questo mondo. Reazioni emotive normali, purtroppo, che non ammettono quanto siano troppe le cose possibili, soprattutto nel male.

E il non è possibile di Mattia Repole risuona ancora più impossibile perché oltre a colpire una giovane promessa dello sport italiano – e questo dovrebbe bastare – lo fa accanendosi contro una maglia che, quanto a sventure, ne ha viste di tutti i colori.

Il Toro granata ha dovuto piangere i caduti della tragedia di Superga, che in un attimo, in quel pomeriggio piovoso di una giorno di dopoguerra, distrusse la più grande squadra di calcio della storia del calcio italiano. Il “Grande Torino”, così battezzato dalla passione popolare e dalla letteratura di quel romanzo pulsante che è la fede calcistica.

Gigi Meroni, talento indiscusso e assoluto, la “Farfalla granata”, l’anarchico, il “Best italiano”, il dandy del pallone, l’artista ribelle e sfrontato, sensibile e intelligente, colpito a morte dalla malasorte nella sera di quando fu investito da quello che poi sarebbe diventato il presidente del Torino. Meroni è ancora oggi il simbolo della contestazione alla rigidità di un mondo ipocrita e corrotto, che ficca i suoi segreti dentro il sacchetto di una morale borghese che fa soltanto finta di essere popolare. Tutto questo, e non soltanto questo, è appartenuto e appartiene alla storia di una delle più gloriose società di calcio del mondo. Gemellata col Corinthians e col River Plate, con una storia antica che parte da lontano, e che, come tutte le cose al massimo dell’umanizzazione, ha conosciuto prodigi e disgrazie, imprese e disavventure.

Ecco che la scomparsa del giovanissimo Mattia, avvenuta in circostanze che ricordano molto quelle che uccisero Meroni, suona drammatica e rattristante, col sapore del peccato e dello spreco più estremo, ma con quella firma del destino che, ancora una volta, ha voluto cifrare un aneddoto vestito di granata.

Mattia Repole giocava nell’Accademia Grande Torino, e pare che nell’ambiente di lui si dicesse già un gran bene. Un talento, una promessa, un giovanissimo calciatore con la guida di un sogno in tasca e un epilogo di una storia mai cominciata. È stato investito da un giovane ventiseienne alla guida di una Volkswagen, che nemmeno ha avuto il tempo di evitare l’impatto col la bicicletta dove in sella era seduto il giovane Mattia, in un incidente avvenuto nei pressi dello “Juventus Stadium”. E nemmeno deve essere stato facile per l’altrettanto giovane automobilista fermarsi a prestare soccorso a Mattia. Ancora disgrazia e dolore intorno a quella maglia che sembra avere un conto aperto con la cattiva sorte.

Mattia Repole è finito come Gigi Meroni. Senza neanche rendersene conto è andato incontro allo stesso destino di uno dei miti del Torino. Tutto il silenzio dovuto, l’ennesimo “non è possibile”, si porta appresso pure il grave sospiro di fronte al fatto che la sfortuna, a Mattia, della storia di Meroni, ha concesso solo il finale.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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