Benitez, voglia di riscatto dopo la sfortunata parentesi con l’Inter

benitez interBENITEZ INTER | D’accordo la Spagna e anche l’Inghilterra, ma forse, consapevolmente oppure no, è proprio l’Italia, il campionato italiano che Benitez vuole. Perché? Perché nessun calcio al mondo è ossessionato dalla tattica così come da noi. Cosicché per un professore di moduli e di schemi come lui l’Italia del pallone diventa l’Eldorado, l’Eden, la terra promessa. E quindi non ci pensa due volte, don Rafael, quando l’Inter fa squillare il suo mobil per affidargli la panchina ancora calda della sapienza e del Triplete di Mourinho. E  giusto per non essere da meno, l’ex coach del Liverpool comincia da dove aveva finito iI suo predecessore: infatti, Roma battuta con un gol di Pandev e due di Eto’o e Supercoppa italiana subito nella bacheca nerazzurra grazie a un 4-5-1 d’antica e consolidata tradizione anche in casa nerazzurra.

La delusione, invece, si chiama Supercoppa Uefa. Stesso modulo, ma sul prato verde di Montecarlo vince la carta dell’Atletico Madrid. Il problema, però, non è il disegno tattico magari inadeguato a quell’evento. No, il problema è la vivacità del gioco e delle gambe dei giovanotti affidati a Quique Flores. Il problema, l’ha detto poi la storia, è la carta d’identità delle due squadre. Infatti, media età degli spagnoli: 26.5 anni; media nerazzurra: 30.6. E per di più Benitez non vede neppure l’ombra di quei due giocatori chiesti al momento dell’impegno per far calcio a modo suo. Mascherano, infatti, resta a Barcellona e Kuyt a Liverpool. Insomma, per essere preoccupato, Benitez è preoccupato, ma non può far altro che tuffarsi nel nuovo campionato. A modo suo. Cambiando subito il disegno di Mourinho.

NOVITA’ – Via il 4-4-2 preferito dallo Special One e via pure le alternative del vecchio allenatore che spaziavano dal 4-5-1-al 4-3-3 sino al 4-2-1-3. Ecco, Benitez riparte proprio da quest’ultimo modello. Abbassa un po‘ gli attaccanti esterni e il gioco è fatto. I nomi, pero, sono sempre quelli. Tant’è che tra la formazione di Mourinho che nella finale di Madrid vince la Champions mettendo sotto il Bayern e la prima di Benitez in campionato col Bologna c’è un solo nome nuovo: Mariga, il quale prende il posto di Zanetti, il quale a sua volta arretra in difesa al posto di Maicon. Insomma, s’arrangia, Benitez. Altro che Paradiso del pallone! S’accorge presto, infatti, che se i giovanotti sono quelli vincenti della stagione precedente, non e così per il loro rendimento. Perché probabilmente da quei giocatori Mourinho aveva ricavato tutto e anche di più. E allora, per provare a rimediare, Benitez forza i tempi della sua rivoluzione. Sotto con il 4-2-3-1. In Champions e in campionato. Va in campo cosi contro il Twente, il Werder Brema e due volte contro il Tottenham cogliendo anche successi che aprono i cuori nerazzurri all’ottimismo. Stesso disegno in campionato, dove il 4-2-3-1 diventa prima scelta. A questa idea, infatti, Benitez s’affida undici volte nelle prime – e ultime – 14 giornate della sua avventura. Sino alla fatale sfida con la Lazio di Edy Reja che per l’occasione, all’Olimpico, si contrappone all’Inter allo stesso modo e vince per 3-1. Ormai tira brutta aria intorno allo spagnolo, al quale non basta neppure aver riportato a casa pochi giorni prima – giocando però con un 4-4-2 che si trasforma in 5-3-2 o 4-3-3 a seconda del possesso o meno del pallone – il titolo di Campione del mondo per club battendo per 3-0 i congolesi del Mazembe. Niente da fare: due trofei su tre subito conquistati e le acrobazie tattiche per provare a mettere una toppa ai mancati arrivi in tempo di mercato, alle gambe molli della squadra e, soprattutto, ai tanti, troppi infortuni figli probabilmente di un logorio dei piedi e delle gambe nerazzure, non bastano a salvarlo. Lo capisce e sbotta, il signor Rafa. Racconta i suoi tormenti, le sue delusioni. Rapporto complicato, insomma. E, infatti, il 23 dicembre, solo sei mesi dopo il suo celebrato ingaggio, Benitez se ne va. L’Inter passa a Leonardo e tutto riparte dal 4-4-2 dello Special One. Un fantasma che a Milano ancora gira.

Fonte: Corriere dello Sport

 

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