Da Binder a Deyna, figli di un calcio “minore”

226-1946 - 47 - RapidDa Binder a Deyna, da Lojacono a Banks, il memoriale povero e stracolmo del pallone lungo più di un secolo, stenta a ricordarseli tutti, i suoi campioni. Alcuni vittoriosi, altri vinti, e alcuni dimenticati. Destino delle manie e delle abitudini, che non si capisce quale metodo adottino per consegnare all’anonimato dei posteri la celebrità, ingiusta o consumata, di questo e di quell’altro personaggio. Pure il ricordo somma e sottrae i giusti onori, talvolta col compito ingrato di servire lo squilibrio e prestare il fianco a esigenze, a diatribe e a procure, nel pieno o nell’ingiusto privilegio.

Quanti calciatori, allenatori, dirigenti e tifosi affollano la galleria del labirinto pallonaro, in un tutt’uno che sa di dispersione, piuttosto che di raccoglimento. Una religione, sì, tra mille pratiche e milioni di preghiere, ma con la memoria corta e un campionario di presentazioni piccolo e ridotto, avvolto con lo spago corto dentro le cianfrusaglie in un bagaglio a mano. Eppure, tra i fasti e i nefasti di un gioco passato alla storia come una cosa seria, ci si ricorda di calciatori che hanno realizzato più di quanto non abbiano fatto campioni recenti e non, iscritti agli annali della fama e della riconoscenza popolare.

Franz Binder, detto “Bimbo”, che non era un gangester e nemmeno un ministro d’oltralpe. Un bomber, uno che negli anni della grande Austria segnò più di mille gol, quasi al pari di Pelè. Binder è al quarto posto nella classifica di tutti i tempi, dopo la “Perla nera”, Friedenreich e Psukàs. Dopo questi tre, arriva Bimbo, attaccante degli anni trafitti dal terzo Reich, finalizzatore senza pari costretto a cambiare campionato, in seguito alla manovra politica dell’Anschluss, l’annessione forzata dell’Austria alla Germania di Hitler.

Quando il Rapid Vienna, la compagine di Binder, fu iscritta al campionato tedesco insieme ad altre squadre austriache, Bimbo e compagni si trovarono di fronte le più forti squadre dell’Impero hitleriano, battendo, in una giornata storica, lo Schalke 04. Una rimonta senza precedenti. Da 0-3 a 4-3 per gli austriaci. Tre reti di Binder e un saluto beffardo all’invasore nazista.

Nacque negli anni ’30 il grande Francisco Lojacono, argentino doc e piedi di dinamite. Fisico basso e possente, agilità, tecnica e calcio forte e irresistibile. Negli anni ’50, il suo talento venne scoperto dal campionato italiano. La squadra che lo ingaggiò fu la Fiorentina di Montuori, dei gigliati scudettati e irripetibili. Pure il Napoli avrebbe voluto comprarlo, offrendo una cifra pari a oltre 100milioni di lire, ma senza riuscire a portarlo all’ombra del Vesuvio.

Poi la Roma, le donne e mille peripezie, per Francisco che se ne è andato nel 2002, dopo un tumore e un infarto. Di lui, restano i ricordi di chi lo ha conosciuto e la bellezza di chi l’ha visto giocare.

Pure tra i portieri, ruolo spesso non molto anteposto alle imprese dei centravanti e ai prodigi dei fantasisti, si ricordano eroi tra i pali parzialmente dimenticati. Uno di questi, quel Gordon Banks soprannominato “Banks of England”, anche lui classe ’37, e carisma col quale solo i figli di certi decenni possono nascere e crescere. Nominato baronetto nel 1970, parò mille e mille palloni con la maglia del Leicester e con la casacca della nazionale inglese. Più di settanta presenze con l’Inghilterra e oltre 500 con squadre di club. Parò di tutto, al punto dall’essere considerato pari al leggendario Yascin. Una volta parò pure un tiro impossibile a Edson Arantes do Nascimento, “Pelè”.

Banks fu campione del mondo, professionista estroverso e carismatico, ma che un giorno dovette arrendersi alla peggiore delle sfortune per un portiere. All’inizio degli anni ’70 la perdita della vista binoculare lo costrinse ad abbandonare la nazionale e i calcio ad alti livelli, lasciando il posto a Shilton, storico portiere inglese che avrebbe poi giocato fino a veneranda età.

Ma la parabola trasversale dei protagonisti silenziosi del calcio mondiale non arresta la sua corsa. Non subisce le violazioni della forza di gravità. E continua, sorvolando i silenzi e la posa tenebrosa di Kazimierz Deyna, polacco, oro olimpico nel 1972 e grande calciatore. Kazimierz nacque in una località vicino Danzica, nel 1947, pochi anni dopo lo scadere della guerra e accanto a uno dei luoghi dove furono perpetrare le più feroci brutalità del secondo conflitto mondiale.

L’aria irrespirabile ed elettromagnetica del Novecento gli entrò dentro fino all’ultima goccia di sangue. Deyna fu un personaggio complesso e impenetrabile. Carattere forte, elegante, per metà militare e per metà rivoluzionario. Giocatore d’azzardo e anima di condottiero. Un suo compagno di squadra, una volta, definì il suo carattere “una tragedia”. Dopo aver mostrato al mondo le sue grandi doti tecniche, Kazimierz Deyna fu acquistato dal Manchester City, nel 1978, dove il “Best polacco” fu decisivo per evitare al City una disonorevole retrocessione.

È rimasta nella storia la scelta di Pelè nel 1974, quando, dopo i mondiali in Germania, il fuoriclasse brasiliano affermò che il miglior calciatore era stato il polacco Deyna, per tecnica e intelligenza. A quel mondiale avevano partecipato pure Beckenbauer e Cruijff. Deyna morì a San Diego, all’età di 42 anni, in seguito a un incidente stradale.

Non esistono roghi per i ricordi sbiaditi e non esiste stasi per i ricordi della grandezza, sia pur essa per un istante dimenticata. Certe figure si muovono di notte, e Borges diceva che “La notte ci piace perché, come il ricordo, sopprime i particolari oziosi”.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka             

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