Béla Guttman e il maledetto Benfica

Bela GuttmanBéla Guttman e il Benfica maledetto. Farebbe pensare a un film, a un romanzo, a un documentario tv di seconda serata, o a qualsiasi cosa disposta a raccontare la tragedia. Per fortuna, almeno in senso lato – senza voler forzare facili ironie – di tragedia non si tratta. E nemmeno di un documentario, ancor meno di un film o di un romanzo. È la storia di una maledizione. Una maledizione che porta la “firma” di Bela Guttman. Destinatario? Il Benfica.

Dalle parti di Lisbona dare del maledicente a uno come Béla Guttman sarebbe come dirlo al profeta d’una religione, e da parte dei suoi stessi adepti. Praticamente impossibile. E sì, perché Guttman, parliamo di uno dei più grandi allenatori di tutti i tempi, all’aquila portoghese ha fatto vincere due volte la Coppa dei Campioni, due scudetti e una Coppa nazionale. Nel ’62 e nel ’63 quel Benefica, sotto la guida di mister Guttman, le suona di santa ragione a Barcellona e Real Madrid, i due colossi che hanno segnato la disputa di calcio e politica più accesa e sentita di quasi un ventennio.

Béla Guttman, professore, stratega, tattico, inventore, stregone e uomo tutto spigoli e carisma. Una sagoma che ha contenuto in sé mille figure. Un ungherese classe 1899, tutto petto gonfio e brillantina. Un alchimista dello spirito e della pratica agonistica.

Guttman esordisce nel calcio quando il calcio non ha ancora esordito. Quando inizia a giocare a pallone, il soccer inglese non ha ancora fatto piena conoscenza del futbol bailado d’oltreoceano, e c’è ancora chi chiama il vecchio continente col nome un po’ troppo “austero” di Mitteleuropa. Roba dal sapore “autarchico”, di cuffie strette in testa e casacche di lana inzuppate di pioggia e di fango. Per terra palloni grandi e durissimi, di quel cuoio antico e facile a seccarsi.

Béla è di origine ebraica, e non perde tempo a unirsi alla causa sionista di inizio secolo, quella che in pratica scatenerà la furia della caccia nazista, risultato finale di una persecuzione iniziata molti decenni prima, per mano di potenti gruppi finanziari rivali di quelli ebrei. Da laureato in psicologia, all’inizio degli anni ‘20 Guttman si trasferisce negli Stati Uniti, dove pratica il calcio da appassionato, e per guadagnarsi da vivere fa l’istruttore di danza. Poi, una volta messi da parte un bel po’ di soldi, inizia a giocare in borsa. Nel 1929, le sue finanze restano sotto le macerie dello storico “Crollo di Wall Street”. Umiliato dal clamoroso quanto inatteso rovescio di fortuna, ritorna in Europa. Qui, continua a coltivare la passione per il calcio. Il suo primo incontro col pallone era già avvenuto nel 1914, nelle giovanili, e poi nel 1917 nella prima squadra del Toreksev.

Gioca in Ungheria e con l’Ungheria fino al 1922, prima che il suo paese precipiti nell’antisemitismo e in uno scandalo di presunti fondi neri nella sua federazione. L’Europa, senza saperlo, si prepara al peggio. Intanto, Guttman inizia a giocare in una squadra viennese chiamata Hakoah, che inizia un tour negli Stati Uniti per raccogliere finanziamenti utili proprio alla politica sionista. Dopo alcuni anni di diverse esperienze calcistiche, Bela inizia la sua carriera di allenatore, proprio nell’Hakoah e poi dell’Enschede. Nel 1938, quando torna ad allenare proprio l’Hakoah, Hitler invade l’Austria, e tutto quello che è di chiara origine sionista, Hakoah e Guttman compresi, devono scomparire.

Béla è costretto a riparare in Ungheria, dove allena lo Ujpest di Budapest, conducendolo a grandi successi internazionali. Poi, la guerra. Il silenzio, e di Guttman non si sa più nulla. Come fosse scomparso.

Ricompare, scampato alla persecuzione, nel 1945, riprendendo la sua carriera di allenatore. Carriera che lo porterà ad allenare più di venti squadre diverse, dal 1945 al 1973. Tra queste, oltre al Benefica, il Padova, la Triestina, il Milan, il San Paolo, il Porto e il Panathinaikos.

Escogita nuovi schemi di gioco e si distingue per il suo carisma. Impone ai propri calciatori rigidi sistemi di allenamento e di condotta, al limite della sopportazione psicologica. Intorno alla figura dell’allenatore ungherese aleggiano molte ombre. Ha la fama di essere un esoso e si mostra molto spesso attaccato al denaro, e viene accusato di essere il responsabile della morte di uno dei suoi calciatori, a causa della somministrazione di sostanze dopanti. Si paragona al domatore di animali e metaforizza il calcio come uno spettacolo di belve in gabbia, che l’allenatore ha il compito di “domare”.

Béla Guttman è un personaggio trasversale, che incarna archetipi umani che oltrepassano la semplice figura sportiva e interpretano una modo di vivere e di porsi da uomo del Novecento, attraversato dai mali e dai rimedi di un’epoca senza precedenti. Guttman, l’inventore di un calcio militante e militarizzato. Uno che costringe il mondo del futbol a calcolare la formula soprannominata la “Mistiqua benfiquista”, secondo la quale il verbo d’acciaio di Bela detta “Piove? Fa freddo? Fa caldo? Che importa? Anche se la partita si giocasse durante la fine del mondo, tra le nevi del monte o in mezzo alle fiamme dell’inferno, per terra, per mare o per aria, loro, i tifosi del Benefica, vanno lì, appresso alla loro squadra. Grande, incomparabile, straordinaria massa associativa”.

Ma è proprio il Benfica, la squadra con la quale ha raggiunto i suoi più grandi successi di allenatore, la destinazione della sua ultima grande uscita, in forma di mistica profana. Dopo aver litigato con la società portoghese, negli anni ‘sessanta, a causa del rifiuto, da parte dei dirigenti del club di Lisbona, del premio da lui richiesto per la vittoria della seconda Coppa dei Campioni, Bela lascia il club portoghese, solo dopo aver lanciato una netta e lapidaria maledizione. “Senza di me il Benefica non vincerà mai una Coppa dei Campioni”. Il Benfica, ad oggi, ha diverse volte perso finali di competizioni europee, senza mai riuscire a portare a casa un trofeo internazionale. Dall’addio di Béla Guttman, l’aquila di Lisbona aspetta ancora di alzare una Coppa internazionale di prestigio. Ha perso 5 finali di Coppa dei Campioni e 2 finali di Coppa UEFA.

E pensare che pure in circostanze tragiche, come quelle della Shoah, la figura di Béla Guttman ha avuto un ruolo misterioso e del tutto particolare. Nessuno è stato mai in grado di conoscere il luogo dove si sia nascosto. Anche chi ha scritto di lui in quel periodo è stato catturato. Quando, dopo la guerra, gli chiedono più volte come fosse sfuggito ai nazisti, lui risponde sempre e soltanto “Dio mia ha aiutato”.

Il Talmud recita “Sii il maledetto e non colui che maledice”. È soltanto calcio, d’accordo. Ma, per prudenza, non mettetevi contro quelli come Béla Guttman, e, soprattutto, non parlatene al Benfica.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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