Quando una volta si diceva “Tanto io giro l’antenna a Montevergine”

mab5bo“Tanto io giro l’antenna a Montevergine”. Quante volte avrò sentito questa esclamazione prima di ogni partita di Coppa del Napoli di Ferlaino.

E sì, perché dovete sapere che una volta, quando non esistevano decoder, pay per view e altri “ingressi” allo stadio attraverso il salotto di casa, la faccenda era assai sbrigativa. O lo stadio, o niente. E se il Napoli giocava in casa la Coppa dei Campioni o la Coppa UEFA, la “zona di Napoli” era interdetta e fregata. Almeno ufficialmente, perché in RAI al posto della partita c’erano film e telefilm a sostituire quel pezzo di palinsesto che non doveva coprire pure l’area vicino alla città.

Allora, niente partita. I diritti televisivi funzionavano in maniera diversa, e succedeva che l’attesa della partita si divideva tra la speranza che la società estendesse i diritti e la trasmissione alla zona di Napoli, oppure, soluzione tecnica e clandestina, la Napoli privata della visione girava l’antenna verso Montevergine.

Un cambio di direzione e il segnale diventava amico. Accrocchi e dispostivi da contrabbando del via cavo facevano il resto, e allora si tornava ai tempi di Carosello. “Se non la vedi, vieni a casa mia. Ho l’antenna girata a Montevergine”. Manco si trattasse di una raccomandazione dell’etere, avere la possibilità di dirottare verso la località del famoso santuario (che si trova a Mercogliano), onde evitare di seguire la partita alla radio o dalle urla dei vicini in caso di goal.

Il campionato era roba da stadio e basta, e la radiolina era un bene accetto surrogato. Ma le coppe no, non era possibile perdersele. Il mercoledì era un appuntamento che si verificava due volte al mese, e non era ammesso starsene in casa o per strada senza poter guardare la partita.

E avete mai provato ad andarci, a Montevergine? Una volta vi erano custodite le ossa di San Gennaro, nemmeno a farlo apposta, e adesso è meta di credenti e di fedeli, di curiosi e di studiosi, di profani e di spiritosi. Sì, perché il Santuario di Montevergine è destinazione pure della fede a braccetto con l’anima pagana e sbarazzina della Napoli e della Campania che furono, e che di tanto in tanto sono ancora. La “juta dei femminielli” chiama a raccolta gay, transessuali e lesbiche, in una processione volta a ringraziare Mamma Schiavona per il miracolo del 1200.

Si narra che allora, durante una tremenda bufera di neve, due innamorati omosessuali furono scoperti, restando imprigionati a un albero sotto una solida lastra di ghiaccio. Per intercessione della Vergine “Mamma Schiavona”, un raggio di sole disciolse il gelo e li liberò.

Montevergine è luogo sacro e profano, e una volta era pure soccorso dei tifosi che volevano seguire il Napoli delle coppe europee. Oggi l’antenna a Montervegine non gira più. Qualche altro accrocchio e qualche altro stratagemma si prestano alla clandestinità, ma dubito che godano di “benedizioni”.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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