L’editoriale di Deborah Divertito: “Il popolo delle trasferte e le sue pazienti donne”

editoriale_deborah_divertitoMacinare chilometri, su e giù per l’Italia e per l’Europa, gli stadi-museo come quelli museo-degli-orrori, per undici ragazzi che corrono dietro ad un pallone? Sì, si può.

Se questi undici poi indossano l’unico azzurro che per noi conta veramente, allora, la vera risposta è: sì, si deve!

E allora ci si organizza, ci si conta, si decide se in auto, in treno o in aereo, si contattano gli amici che magari sono già sul posto perché emigrati anni fa e aspettano te  e il Napoli a braccia aperte e polmoni pronti a sostenere. Si da’ una mano a chi è in periodo di magra,  si va a fare presenza pure per gli altri quando il periodo di magra è per tutti, ma qualcuno può cogliere una buona occasione per esserci comunque. E in quel caso si fa la cronaca di ogni passo a chi è  rimasto a casa. Prospettando già la prossima trasferta da fare insieme.

E, mentre, appunto, organizzo i miei orari e gli appuntamenti per la trasferta di domani a Pescara, penso ai miei compagni di viaggio e a quelli che troverò lì. Come al solito ci saranno vari club e come al solito il gruppetto che viene da Verona.  Come al solito non ci saranno gli ultras e nonostante le peggiori cose che si possono dire su di loro, ed io non le dirò, la loro assenza si sente. Eccome, se si sente!

Il popolo delle trasferte è sicuramente cambiato. E come al solito si opta per evitare il problema piuttosto che affrontarlo seriamente. La polvere sotto il tappeto, insomma. Possiamo cambiare il tappeto, ma la polvere resta sempre sotto. Una pratica in uso da sempre in questo Paese ipocrita e scansafatiche. Un po’ come inventarsi un secondo mandato ad un nonnetto di 88 anni che già si vedeva  sul lungomare liberato a godersi i pronipoti.

Il popolo delle trasferte, però, è anche appassionato. Conosco persone che a fine maggio fanno la conta dei chilometri, dei mezzi di trasporto presi, delle partite viste e di quelle che non avrebbero mai voluto vedere. Persone pronte a criticare o elogiare, condividere e non condividere le scelte, a gioire e a bestemmiare, ma sempre presenti. Persone che, avendo trovato fortuna o semplice sopravvivenza lontano da Napoli e dal San Paolo, approfittano per portare i figlioletti, cresciuti ormai con accenti nordici,  quando gli azzurri giocano nella loro città di adozione o giù di lì. Persone per cui la vera trasferta è a Napoli e al San Paolo, salvo poi capire che quella lì resta comunque anche casa loro.

Insomma, per il popolo delle trasferte esserci non è solo un piacere, ma un dovere. E il mio editoriale di oggi lo dedico a loro, ma soprattutto alle loro mogli, compagne, mamme, figli che sanno che anche quello che può sembrare un week end di piacere, in realtà, nasconde il tranello di una partita del Napoli nelle vicinanze. Donne, in larga parte donne, che subiscono pazienti gli accompagnamenti agli aeroporti, le richieste di casatielli, rustici e frittate di maccheroni da portarsi dietro, che sopportano le facce nere se il Napoli ha perso e i ritorni a casa veloci, ma solo per vedere in rete tutte le interviste/goal/link sfottò se il Napoli ha vinto. Io, che sono affetta dalla stessa grave malattia di cui sono affetti i loro mariti, compagni, figli e padri, non posso comprenderle a fondo, ma posso indubbiamente ringraziarle e dedicar loro un pensiero. Sincero e affettuoso. Perché in fondo anche loro sanno perché non restiamo a casa.

E adesso torno alla mia organizzazione. Domani vi porto tutti a Pescara.

 

 

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