L’editoriale di Deborah Divertito: “Stiamo a parla’ de tutto e de gnente…”

 

editoriale_deborah_divertitoAmo le serate con gli amici, anche quelle da “una birretta e via che domani mi devo svegliare alle sei”. Amo quando queste serate sono tra amici capaci di chiacchierare di tutto, dalla musica alla politica alla vita privata allo sport. Amo quando la discussione si fa interessante e si riscaldano gli animi. Mi piacciono perché nonostante la nostra concordia sulla quantità di birre da ordinare, riusciamo ad avere opinioni diverse e ad affermarle con forza. Mi piacciono perché finita la discussione, in cui i toni sono accesi, finisce anche la divergenza e ritorniamo a sorridere alla nostra bella amicizia. Quella di ieri sera è stata esattamente una serata così. Gli amici erano quelli di curva, oltre che di tutto il resto, e quindi la discussione non poteva che riguardare il Napoli. Non ricordo neanche come, il discorso si è spostato su una fantomatica differenza tra D10S e il Matador. Non nello stile e nel talento e nel piede, ci mancherebbe. Per quello Maradona non esiste. E’ su un altro pianeta e non si discute. Persino Messi con la bacheca piena di palloni d’oro, non riesce neanche ad avvicinarsi alla luce divina che pulsa dietro i riccioli di Diego. La differenza la si faceva sull’attaccamento alla maglia e sulla decisione di “sposare una causa”.

Ora, a prescindere dal fatto che possiamo dare mille interpretazioni all’espressione “sposare una causa”, sostanzialmente si sosteneva, ed io non ero e non sono d’accordo, che mentre Maradona aveva deciso di far vincere Napoli e il Napoli, capendo a fondo la città, i tifosi e volendo assolutamente restare a Napoli, e di fatto ci è restato seppur spiritualmente, il Matador è figlio di un calcio moderno, fatto di soldi, procuratori furbi, s.p.a. e calciatori più lavoratori che esseri umani. Ho continuato a pensarci e dico ancora che non sono d’accordo nella misura in cui per quanto è vera la prima affermazione che riguarda Diego, è quanto meno prematura e ingenerosa la seconda.

So di scrivere cose rischiose e mi rendo conto della pericolosità di ciò che sto per dire, ma la mitizzazione, seppur in questo caso sacrosanta, aiuta poco la memoria. Maradona ha avuto la squadra per vincere dopo un primo anno disastroso e richieste ben precise ed accontentate. Ha vinto le uniche cose che si siano vinte a Napoli, Tim Cup esclusa. Ha aperto e chiuso un ciclo che ci ha portato a ricominciare dalla serie C. Ha chiesto di andare via, eccome! Di essere ceduto, di finirla con il Napoli, di andare probabilmente a vincere anche altrove o di allontanarsi dall’ambiente che lo stava rendendo Dio ma allo stesso tempo lo stava distruggendo. Se la società non si fosse tirata indietro all’ultimo momento, probabilmente avrebbe terminato la carriera all’Olympique Marsiglia. Uscì dal campo sostituito, in un Napoli-Pisa, con le scarpette in mano, fischiato dal San Paolo che  non perdona neanche Dio. Fischi d’affetto, si capisce. Fischi di chi ha paura di essere lasciato. Da innamorato deluso e arrabbiato inscenando uno strampalato, ma istintivo tentativo di trattenerlo. Saltava gli allenamenti  e un anno arrivò anche a campionato già iniziato. Era l’anno del secondo scudetto e questo fa di lui il Maradona calciatore fuori da ogni parallelismo con chiunque sia solo un essere umano.

Cavani non ha mai chiesto ufficialmente di essere ceduto e non è ancora  uscito tra i fischi perché svogliato e poco attento alla partita. Ci sono state partite in cui ha reso di meno, certo, ma questo fa di lui un essere umano  e perciò non paragonabile al soprannaturale di cui sopra. E’ un attaccante  da 30 goal a stagione e ditemi l’ultimo che vi ricordate con una media così per tre anni consecutivi. E’ di soli tre mesi fa (ah!la memoria corta!) una lunga intervista al tg1, prendo la più recente ma in realtà ne ha fatte anche altre con questi contenuti, in cui proclama di voler vincere qualcosa d’importante con il Napoli, il suo legame con Napoli e la gente, della sua tranquillità e dei suoi figli “napoletani”. Sa cosa significa il calcio per la nostra città e che da una partita di 90 minuti dipende un’intera settimana. Non si è mai tirato indietro nell’indossare la nostra maglia anche dopo viaggi transoceanici, ricordando  per ultima, solo in ordine temporale, la doppietta a Torino dalla panchina e con un jet lag da fare invidia al Never Ending Tour di Bob Dylan. A parlare di una sua cessione fino ad ora sono stati il fratello, il padre, lo zio, il cognato, il nipote, il cugino di terzo grado e il salumiere sotto casa sua, ma mai lui se non attraverso frasi di circostanza come “Nel calcio non si sa mai. Darò tutto fino alla fine.” Se proprio una differenza la devo fare, la faccio con quello che per me  è il vero capitano del Napoli, cioè Hamsik. Andasse via lui dopo aver fatto dichiarazioni d’amore in tutte le lingue, quella sì! Sarebbe una vera sorpresa!

Ma la verità è che se e quando Cavani andrà via, stringerò la mano ad un giocatore al di sopra della media, che mi ha regalato più di 90 goal in tre anni, che ha stracciato record di altri in maglia azzurra e magari ne straccerà altri, che non ha mai sofferto il calore dei tifosi o per lo meno non è andato su twitter a lamentarsi di noi e non credo lo farà quando sarà altrove  (ogni riferimento è puramente casuale, si capisce!). Se e quando andrà via, lo ringrazierò perché era da tanto che non facevamo rosicare gli altri perché avevamo noi il campione in squadra e non loro. Consapevole del fatto che, però, a vincere due scudetti consecutivi, distruggendo il campionato, è stata una squadra che un attaccante di questa portata non ce l’ha, e non noi.

Insomma, la discussione di ieri sera è terminata con la conclusione che avevamo impiegato due ore di serata e di voce a portare avanti e ogni volta a smentire un paragone inesistente tra Maradona e Cavani, in quanto ad attaccamento alla maglia. Insomma, stavamo a “parla’ de tutto e de gnente”.

Ma l’unico parallelo che mi viene in mente adesso, a cuore e mente fredda, è che se abbiamo saputo dire addio al genio e alla sregolatezza di Diego, più simile a noi e forse da qui l’ingannevole ricordo sulla sua permanenza in azzurro,  sapremo dire addio anche alla disciplina e alla pacatezza di Edi, che sa arrivare al cuore semplicemente facendo il suo dovere.

E sarebbe bene che anche la società cominci a fare il suo.

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