L’editoriale di Ivan De Vita: “Lunga vita a te, caro Comunale!”

editoriale_ivan_de_vitaUno con lo stacco imperioso, l’altro con un tocco morbido. Entrambi sudamericani, entrambi a bersaglio nella stessa porta dello stesso stadio. Cavani ha inseguito a lungo Careca nella classifica dei cannonieri azzurri. Sabato scorso è balzato a 97 reti sorpassando il collega brasiliano degli anni dorati.

Il passaggio di testimone è avvenuto a Torino, in un altro scoppiettante 5-3. Un altro sì, perchè il primo è impresso nella mente dei più attempati. 20 novembre 1988. Lo stadio è sempre il “Comunale”, ribattezzato Olimpico solo nello scorso 2006 dopo la ristrutturazione in occasione dei Giochi Olimpici invernali. Cambiano i colori degli avversari, la sponda è bianconera. Maradona è per la prima volta orfano di Platini nella sfida tra divinità. Il Napoli si dimostra ampiamente superiore già nei primi 45′, chiudendo sul 3-0 (sigillo di Carnevale e doppietta di Careca). Fin troppo adagiato sugli allori, un po’ come cinque giorni fa, permette alla Juventus di accorciare le distanze con Galia e Zagarov. La volée di Careca e un rigore di Renica rispediscono gli Agnelli boys all’inferno.

Epica girandola di emozioni scolpita nella storia partenopea. Brilla la registrazione in Vhs sulla mensola del mio soggiorno. L’avrò vista una decina di volte e vissuta altrettante attraverso l’enfasi dei racconti di mio padre. Ma non mi ha mai perforato l’anima. In fondo io non c’ero. Sabato scorso, sull’incornata del Matador, un brivido mi ha attraversato la schiena. Solo allora ho apprezzato davvero quanto accaduto 25 anni fa. La fede azzurra è invasiva, un’eredità di momenti indelebili. Sangue sbizzarrito che scorre di padre in figlio.

Sangue e tachicardia. Effetti speciali. Effetti di uno stadio per niente amico, quanto meno sulla carta. Nella terra in cui “Fratelli d’Italia” serve solo a schiarire l’ugola prima delle gare della Nazionale, l’affetto nei nostri confronti di un catino da soli 30mila posti, originariamente fascista, lascia quasi sbigottiti. Sarà l’aria di superbia e disprezzo che si respira all’interno quando arriva il Napoli, sarà la nostra voglia di rivalsa, sarà l’ironia di un destino cresciuto in Terronia. Certo è che nelle dolci memorie napoletane di quel terreno di gioco non è sigillato solo quel magico pomeriggio del 1988. Esattamente nel mese di novembre di due anni prima, il Napoli espugna il “Comunale” travolgendo 3-1 in rimonta la banda Platini con le reti di Ferrario, Giordano e Volpecina. Quella si è rivelata la prima scintilla, da allora puntare alle stelle diverrà una routine.

Primavera successiva. 19° giornata. Il Napoli torna in Piemonte col vento in poppa e la leadership da difendere. Battere il Torino per allungare sull’Inter. 12mila i napoletani al seguito. Il colpo ad uncino lo indovina Giordano all’ ’81, tre minuti dopo il suo ingresso in campo. Materializzazione di un sogno in corso. Novembre e marzo, lancio dello shuttle e arrivo in orbita. Nel mezzo una cavalcata fantastica, una melodia in tonalità crescente. Due punti cruciali, i due ganci che sostenevano quello striscione apparso nella Partenope popolare durante i festeggiamenti per il primo scudetto: “Nord, non ti resta che piangere!”.

Tutto in quel “Comunale”, un po’ la nostra seconda mamma. Fino a quando sarà abbandonato nel 1989-90 per lasciare spazio al giovane e maestoso “Delle Alpi” messo a punto per i Mondiali italiani. Con il nuovo arrivato il rapporto è ostile e burrascoso. Un sussulto di Roberto Policano nel ’93 contro i granata è l’unico successo consegnato agli annali. Per il resto troppe cocenti umiliazioni, coincidenti con la debacle della società azzurra a cavallo del nuovo millennio.

Tuttavia, seppur con le emozioni seppellite tra le ragnatele del seminterrato, quella fetta del settentrione ha saputo regalarci una minuscola e inconsistente chicca anche in quel periodo. 1997-98, l’anno dei record negativi: retrocessione con soli 14 punti all’attivo. A marzo un Napoli agonizzante fa vista alla Juve galattica di Inzaghi, Del Piero e Zidane. Un testacoda sottratto al beneficio del pronostico. Gli azzurri coriacei e mai arrendevoli impongono un clamoroso 2-2 ai primi della classe, con Turrini e Protti che rispondono a Zalayeta e Del Piero. Il profumo della polenta sveglia anche i palati più sonnolenti. Ma non molti ricorderanno quella gara, quella stagione.

Nel frattempo il nostro talismano “Comunale”, ibernato e silente, viene ristrutturato e torna in auge nel 2006, ospitando le gare di entrambe le torinesi. La Juve si esibisce in quell’impianto fino al 2011, quando viene inaugurato lo “Stadium”. Giusto in tempo per un nuovo appuntamento con il Paradiso. Ottobre 2009, una pietra miliare da mostrare ai nipotini. Sotto 2-0, poi ribaltone per coronarie d’acciaio. Due volte Hamsik e Datolo (chi??) firmano l’impresa. Poco più di tre anni dopo il Toro ha trovato la pace delle sue corna assaggiando l’ennesimo adulterio. Dzemaili e Cavani confermano la corrispondenza d’amorosi sensi con l'”Olimpico”. Il maschio mediterraneo ha tutto un altro appeal.

Rimonte, desideri, lacrime di gioia. Paradossale empatia. Quella gente ci insulta, ci denigra, brama per una colata lavica che spazzi via le nostre vite e i nostri progetti. Poi c’è uno stadio, voluto da Mussolini, che come un vecchio saggio è pronto a bacchettare i suoi concittadini, rammentando loro quanto è stato fatto dai nostri padri. Spalanca le porte all’ondata partenopea, lasciando dipingere d’azzurro una realtà gretta e lugubre. Prova a zittire quei cori maledettamente ignoranti. Inebriato dal nostro calore, ci implora di seminare amore nell’animo di coloro che non ne hanno mai colto l’essenza. Lunga vita a te, caro Olimpico!

Ivan De Vita

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