Il santismo del ceno

santa cenaE venne giorno che De Lauranziano, in aspettanza del Pasquale risorgimentale, indisse un cenare tra i suoi; si disse per il compattaggio della discepolosità dubbiosa, ma i motivi erano altri.

Gli a-postalo che mi piace furono riunificati nella hall of a-ffamati; si presentarono al cenacolo tutti in smoking-size con le rispettive femministe. Quì ci fu il primo disguide. Gabriel Peter e l’omino Michelin, nominati arcangeli custodi per la loro somiglianza nomenclatica con i corrispettivi celestiali, fecero vietazione alle scollate di procedere oltre. Fu loro detto che sarebbero state allietate nell’attesa dei loro compagnoni impegnati nel rito, da Paolo Limiti che avrebbe narrato l’epopea delli suoi tinteggi mal riusciti. Furone contente ma non contenute.

Nel fratto di tempo body guardoni accompagnarono il truppo maschilizzato all’incontre con il Padron. Era un saleggio scostumato di specchi e insolente di argentieri. Per la profumazione tronchi possenti di sandalo erano infilati in fornaci bibliche. I fuo-chi-so-chisti erano i panchinari sotterranei Dalla Bona e Donadello.

De Lauranziano li frustave con rametti di uliveto mentre i due in oscure lingue facevano lamentazioni sul loro sorteggio iniquo. Visti gli appostati il presidiente allargò i braccioli che fanno attaccheggio al torace e li bene-disse dicendo male del calendario del presidente Abate, giudicando la data del Pasquo troppo prossima alla vigilia col Torino.

Dopo il benedicimento li fece sedere, chi alla sua destra, chi alla sua sinistra. Prese il panuozzo, di Gragnaniello ovviamente, lo stracciò con le sue mani e spartendolo disse: Questo è il mio panuozzo, mio e non vostro. Nelle interiorità troverete friarielli, salsicci e …un uovo contenente un assegno già incassato di 63 milioni di euro. Chi lo vedrà recapitarsi tra le gengive, costui è l’uomo che mi tradirà“.

Non vi sto a dire a chi toccò l’uovo, nè starò a raccontarvi dell’equipe di ingegneri gastronomici ingaggiati per far capitare il pezzo con l’uovo del megasfilatino imbottito proprio a Cavani.

Sole un’ultima, commovente scena. Quando tutti ebbero mangiato a sazieggio e bevuto fiaschi di vin deSantis, Deprofetis porse una piuma di albatros all’uruguagio, e lacrimoso gli disse: “Quello che devi fare, fallo presto”.

Questa è la storia di quell’ultima cena, questa è la storia di un tradimento.
I lettori cari mi vorranno scusare se ho utilizzato un’ambientazione sacra, ma solo si tratta di un innocuo divertessement, di un’allegra storia senza pretese e con tutto il rispetto.

Carlo Lettera
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