La Favola Burkina Faso

coppaC’è poco da festeggiare se ti chiami Aristide Bancè e sei nato in Burkina Faso. Apri gli occhi e vedi tutto nero intorno a te: gli abitanti, le persone, il futuro. Aspettativa media di vita: 50 anni. Mortalità infantile al 19 %. Disoccupazione al 77 %. Meno di 4 dollari al giorno di reddito pro capite.

Aristide Bancè, 28 anni dopo, sta sul dischetto del rigore, in uno stadio gremito. Manda la palla alle spalle del portiere con lo scavetto: il cucchiaio porta il Burkina Faso in finale di Coppa d’Africa. Festa.

Per un giorno, per una notte, i burkinabè hanno scordato se stessi, hanno scordato il passato, il futuro. Per qualche attimo, nelle terre dimenticate dell’Africa, il presente s’è allungato in una dimensione diversa, la povertà s’è messa da parte, s’è nascosta in un angolino, per far spazio alla gloria di una finale.

Lo sport, a volte, è capace anche di questo. Guardatelo, guardatelo Aristide, dal nome greco quasi fosse un dio, esultare con le mani al vento, guardateli i giocatori del Burkina Faso, gli stalloni, saltare come pazzi, divorati dalla gioia. Guardateli gli abitanti del Paese più povero del mondo, con i riflettori addosso, sulla ribalta internazionale, quando manco ci credevano.

Questo è il calcio. Questa è la Coppa d’Africa. Questo è lo sport. Domani, alle 19 (ora italiana) gli stalloni affronteranno le aquile della Nigeria. Tutti li danno per spacciati. E allora? La loro favola l’hanno già scritta. Hanno regalato sogni felici per una notte al loro popolo.

Ora, manca solo l’ultima pagina, quella più bella.

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