Boateng maestro di civiltà: s’infuria e dice “basta” al razzismo

Kevin-Prince-Boateng-0013Il 2013 calcistico si apre con l’ennesima, riprovevole e deprecabile pagina, avente come protagonista lo stolto e bigotto razzismo incarnato da qualche testa calda o semplicemente “vuota“, poiché priva di senno ed acume.

Stadio Speroni di Busto Arsizio, scenario di un’amichevole di lusso, con il Pro Patria chiamato a misurarsi, oggi pomeriggio, contro i diavoli rossoneri del Milan.

Ma i veri “demoni” erano sugli spalti.

All’interno dell’impianto sportivo erano presenti circa 3.000 spettatori, ma un gruppo di circa 200 ultrà bustocchi, ha determinato le sorti dell’incontro.

Questi ultimi, infatti, fin dai primi minuti della partita, hanno indirizzato cori razzisti nei riguardi di alcuni calciatori rossoneri, in particolare, hanno preso di mira: Emanuelson, Muntari, Niang e Boateng.

Ed è stato proprio  Kevin Prince Boateng a sottrarsi a quello scempio, rifiutandosi di prestarsi come spettatore passivo della mortificazione e derisione della sua etnia, impartendo una lezione, gratuita e tenace, di educazione civica e morale, nonché di vita, non solo a quei dissennati “tifosi“, ma a tutti. Proprio a tutti.

Intorno al 30′ del primo tempo, Boateng, alla luce dell’ennesimo coro razzista indirizzatogli, ha scagliato con rabbia il pallone contro la rete di recinzione verso il settore riservato agli ultras della Pro Patria. Subito dopo, si è tolto la maglietta ed ha infilato la porta degli spogliatoi, seguito da tutta la squadra rossonera.

Inutile il tentativo dei calciatori del Pro Patria di convincere gli avversari a non abbandonare il campo.

Più giudizioso e consono sarebbe apparso, ad onor del vero, che i calciatori bustocchi andassero a redarguire con veemenza i propri supporter, intimandogli di assumere una condotta più assennata e rispettosa.

O, semplicemente, una condotta.

Senza dubbio, Boateng ha compiuto un atto destinato a scuotere le coscienze di spettatori ed attori del mondo del calcio.

Il calciatore tedesco naturalizzato ghanese, ha dimostrato che non si può e non si deve più essere disposti a rimanere relegati nel rettangolo verde ad incassare insulti, umiliazioni e cori ingiuriosi, contro una stirpe, un’etnia ed i valori etici, morali, ideologici e sociali che la contornano e la contraddistinguono.

Prince ha voluto e ha saputo alzare la testa e dire di no, sottraendosi a quello scempio e disegnando una nuova strada per tutti i calciatori di colore – e non solo – che in giro per l’Italia, piuttosto che negli stadi europei, scenari di  competizioni di illustre rilievo, sono oggetto delle medesime ingiurie da parte dei tifosi avversari.

Adesso che qualcuno ha avuto il coraggio di dire: “Basta” al razzismo che fa da colonna sonora ad un incontro di calcio, forse, anche molti altri colleghi del calciatore rossonero sapranno prenderlo ad esempio, imitandone le gesta.

E, di contro, i personaggi che occupano le curve, che, per ovvie ragioni, si fa fatica ad annoverare come “tifosi“, la cui anima è alacremente condita da sentimenti ed ideologie razziste, devono iniziare a fare i conti con la possibilità che la loro condotta può arrecare un effettivo e tangibile danno alla propria squadra di appartenenza.

Con l’auspicio che, realmente, almeno ai colori che dichiarano di sostenere, attribuiscano un certo valore.

In tal senso , impeccabile e giusta è la nota divulgata dall’ A.C. Milan, in merito all’accaduto: . “Quanto accaduto rovina l’immagine del calcio: Busto Arsizio è una cittadina operosa e civile. Su questo non ci piove e non si transige. Il Milan ci tornerà: volentieri e a testa alta. Ma i “buuuuu” razzisti di oggi non potevano rimanere impuniti. A condannarli la vergogna che si deve saper provare quando, a causa di pochi, si sottrae a molti un sereno pomeriggio di sport.”

Al cospetto di simili episodi, è tutta l’Italia calcistica che deve sapersi indignare ed opporre, a prescindere dai colori calcistici amati e sostenuti.

Quando un calciatore diviene oggetto di simili atti di oltraggioso ed inaccettabile razzismo, è tutta l’Italia a perdere.

Luciana Esposito

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