Le partite memorabili, Genoa-Napoli

GENOA_NAPOLI_34-300x22510 giugno 2007, ore 15. Due città si fermano, davanti alla tv. Uno scontro fratricida promette sangue e vendetta. L’ansia sale fino alla gola, le parole sono poche, i gesti nervosi. Genoa-Napoli non è una partita, è un’esperienza.

Lo stadio comunale Luigi Ferraris di Genova  non è mai stato così pieno. I tifosi azzurri si abbracciano a quelli rossoblù, più per paura che per gioia. Ed eccoli ancora lì, quei sentimenti così vicini e così lontani, la felicità e la delusione, la gloria e la sconfitta. Li vedi sul filo del rasoio, che ballano insieme verso il burrone: da un lato c’è la porta per il paradiso, dall’altra la via diretta allo spareggio.

Il 10 giugno 2007 Napoli si è trasformata da una città in sole a una città in festa. L’attesa, più che trepidante, aveva il sapore della sorte. Non dipendeva solo da noi, questa volta. Toccava tifare per la Triestina, per il pareggio col Piacenza.

Ricordo ancora vivo il sentimento al gol dei padroni di casa. La cuffietta nell’orecchio annunciava la notizia. Qualcuno cominciava a preoccuparsi, qualche altro, ottimista più del solito, vedeva le cose in un altro modo: meglio così, tanto nel secondo tempo pareggiano.

Il 10 giugno 2007 Napoli si è trasformata da una città in cerca di riscatto nella città del riscatto. Almeno calcistico. Ciò che è accaduto a Marassi non rientra nella categoria sport, almeno in Italia. Rientra nella categoria vita. Quegli abbracci negli spogliatoi, quelle feste bagnate di spumante a porte aperte tra le due squadre, quella voglia genuina di rivalsa, fa parte dell’animo umano nella sua declinazione più elevata.

Di quella partita, a distanza di cinque anni, ricordo solo il cielo. Il cielo azzurro, quando svenuto a terra dalla commozione, aprii le braccia, ringraziando di essere vivo. E napoletano. Di quella partita ricordo la festa, e che festa. Inutile descriverla. Roba che solo a Napoli.

Di quella partita ricordo una signora, nel centro della città, che intervistata dai giornalisti rispondeva: “Non capisco tutto questo baccano. Non è successo poi niente di straordinario. Ma in che razza di posto viviamo?!”. Ecco, cara signora, nella mia vita forse non avrò mai più l’occasione di rincontrarla, e la mia traballante memoria per fortuna ha già cancellato la sua faccia dagli archivi della mente; ebbene, però, una risposta gliela voglio dare, ora, a cinque anni di distanza. Siamo a Napoli, e siamo risaliti dall’inferno. Se ne faccia una ragione.

Raffaele Nappi

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