Quello che si può trovare sopra San Martino

Pare sia un millennio pieno che a Napoli fu fondata una città dentro la città. Uno stato emotivo con le mura aperte, i varchi disponibili, le feritoie, le salite e le discese, i viottoli e le arrampicate. Eppure, nonostante il suo impervio declivio sia stato così a lungo esplorato, quel luogo resta interdetto a ogni rivelazione. Un mistero a cielo aperto, come i suoi protagonisti.

Da bambino, quando si accendevano le luci crude e precarie delle strade, quando a Natale entravo nelle case dove appese a un filo vedevo le luminarie della ricorrenza privata, mi soffermavo sul loro effetto. Fissavo l’alone verdastro, quello giallognolo misto all’altro azzurrastro, che calavano poco a poco in mezzo al rosso che prendeva sempre il sopravvento, e dentro lo sguardo s’apriva la stessa profondità dove mi perdevo a guardare il presepe. E ancora mi dura, ancora mi perdo.

Mille anni, tanto sembra che sia trascorso dal primo presepe napoletano. Santa Maria, dove forse vi fu la prima traccia, passando per il ‘300 di San Martino e il ‘400 di Sant’Anna dei Lombardi, fino alla sua rappresentazione più popolare, inaugurata, nel ‘700, dallo scultore Giuseppe Sanmartino, coi suoi pastori in terracotta.

Il più celebre dei presepi è quello Cuciniello, custodito presso il museo della Certosa di San Martino. Lassù, dove Napoli si eleva dai suoi vicoli mortali, durando antica ed eterea al di sopra della modernità, così quieta e superiore, rassomigliante a un avamposto paradisiaco, mano bianca e delicata che carezza la distesa scompigliata degli edifici. Dal muretto bianco dove termina il piccolo terrazzino all’esterno di una delle stanze del museo, l’affaccio rimanda agli sbarchi dei velieri, alla Napoli invisibile, svelando il segreto tenuto quando dal mare, invece, si guarda proprio San Martino. Un rimando di due direzioni opposte, che lega le due città, la Napoli terrestre, parapiglia affogato nella sua afa di bocca infernale, e la Napoli celeste, divina e silenziosa, che laggiù un tempo c’è stata, risalendosene per quella viuzza immaginaria che le collega entrambe, in una comunicazione clandestina, di due città amanti nello stesso grembo, immobili a guardarsi l’un l’altra, con gli occhi che si vedono e gli sguardi che non si colgono, native e adottate, dentro il loro flirt sommo e prolungato, dove un denso precipitato di infedeltà e smarrimenti resta ad affogarsi e a maledirsi.

Lassù, a San Martino, è custodito uno dei più importanti musei del presepe di Napoli. Nella sua sala principale, c’è il presepe Cuciniello. Si tratta di un lascito del 1877 allestito dall’architetto municipale e commediografo Michele Cuciniello, in cui sono rappresentate tre scene dei Vangeli. Giuseppe e Maria che chiedono ospitalità a un oste, la nascita di Gesù e l’annuncio coi cortei dei magi e dei pastori. Alla preparazione del presepe Cuciniello hanno partecipato i massimi esponenti mondiali dell’arte scultorea di genere. Sanmartino, Polidoro, Mosca, Celebrano, Bottiglieri, Somma et cetera, autori di pastori, animali e nature morte.

Dopo anni di danni e di furti, di incurie e di peripezie, – volendo giungere ai giorni nostri – accademici del settore, insieme al direttore del Museo di San Martino, ne denunciarono lo stato di abbandono. Fu proprio alla fine degli anni ’80 che la Società Sportiva Calcio Napoli decise di finanziare in maniera cospicua il recupero di una delle opere artigianali più preziose del mondo.

Iniziata una paziente e complessa opera di restauro, gli esperti evitarono di fare ricorso a materiali sintetici, adoperando colla di pesce, piombo, stucco, legno e ogni altro materiale che potesse riprodurre utensili e figure tipiche del ‘Settecento napoletano. Soltanto per la ricostruzione dello “scoglio”, il plastico di sughero e di legno, sono stati utilizzati artifici chimici, onde evitare che il tempo potesse nuovamente deteriorare l’intero impianto. L’opera fu completata dallo sfondo dipinto dal pittore Antonello Leone, ispiratosi agli originali storici delle ambientazioni.

Adesso, a San Martino, nella sala del Presepe, una lapide in marmo è dedicata al ricordo del “Dono di Michele Cuciniello”, mentre sotto il vetro che protegge il presepe, c’è una piccola targa. Sopra c’è scritto: “La Società Sportiva Calcio Napoli presieduta dall’ing. Corrado Ferlaino ha finanziato il restauro del presepe restituendolo all’ammirazione dei visitatori”. Resta così, un piacevole e discreto ricordo del pallone, che a Napoli, di tanto in tanto, non disdegna di abitarla oltrepassando i confini della semplice passione sportiva.

 

 

 

 

 

 

 

Una leggenda racconta di Stefania, una giovane vergine, personaggio del presepe, che nella notte della nascita di Gesù, volle incamminarsi verso la Natività per adorare quello che si diceva fosse il figlio di Dio. Fermata dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di avvicinarsi alla Madonna, Stefania prese una pietra e la nascose in uno straccio, fingendosi madre per ingannare gli angeli, e riuscendo a raggiungere Maria solo il giorno successivo. Alla presenza della Madonna, la pietra starnutì mutandosi in un bambino, Stefano, che si festeggia il 26 di dicembre.

Mille massi e mille pietre oggi aspettano di trasformarsi in bambini, finiti in un limbo oscuro dove ciechi brulicano in segreto un pianto silenzioso. Recatevi a San Martino, in un giorno qualunque dell’anno. Quando vi entrerete, scoprirete alcuni dei segreti che la città perduta conserva nei suoi più intimi pudori. Lassù, a San Martino, la ritroverete.

 

Dedico la mia indegna prosa a tutti quelli che hanno davvero amato questa città, soprattutto quelli che lo hanno fatto in silenzio, adottandola e prendendosene cura, con la più dignitosa operosità quotidiana.

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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