Ahmed Younis Khader Abu Daqqa

Ora, qui, davanti a me, da testimone, da denunciante, mi consegno. Consegno la retorica e depongo la parola. Come ha scritto Sanguineti, “rinuncio all’universo”.

Non crediate che ci sia un modo per entrare in certi luoghi, non pensate che esista scappatoia per sentirsi immuni da uno scontro col pensiero, sia pur attraverso la più casuale e sporadica delle soste presso avamposti offuscati e per nulla destinati alla schiarita.

Non basta questo, non basta il lontano, non basta il vicino, non basta la carezza indomita e priva di consenso della madre, non basta lo sguardo ritroso e trattenuto del padre, non basta la smorfia tenera e socchiusa del fratello, non basta la mano timida e incerta dell’amico, non basta il tentativo del visitatore al luogo del lutto, non basta il mondo intero, e nemmeno l’universo.

Forse non basterebbe nemmeno soffermarsi sull’ipotesi che è stato tutto un errore, che il tutto non avrebbe dovuto fondarsi su come invece tutto funziona. Che ben altro avrebbe dovuto regolare i tempi, senza farsi bastare l’imbarazzo di non essere nati e vissuti nel luogo sbagliato, senza la colpa di un’ignoranza che vive da intrusa, insinuata tra l’impotenza e il vile candore dell’abitudine all’impossibilità della reazione.

L’universo di Sanguineti è una questione di luoghi e di ragioni, di casuali e antiche sistemazioni del destino. Noi qui, loro lì, io davanti a me, nella più sincera e irriconoscibile vergogna.

Sarà stata questa, la rinuncia forzata di Ahmed Younis Khader Abu Daqqa, morto giorni fa sotto i colpi della rappresaglia. Come lui, 13 anni di giovinezza calati dentro una maglia di pallone, mille e altri mille, finiti dentro l’istantanea e dolorosa rinuncia all’universo.

A chi un subitaneo e breve lasso di attenzione, e a chi niente, perduto nella sua infanzia interrotta e lanciato verso il buio che a nostra insaputa nutre la nostra irriconoscibile vergogna. Ne siamo fuori, ne siamo stati dentro. Io, oggi, mi consegno, senza che niente cambi e senza che niente ascolti e condanni la mia confessione. Ma mi consegno, per un tempo minimo, mortale, che, come il Poeta, rinuncia al suo universo. Dice un celebre proverbio arabo, “Gli uomini somigliano al loro tempo più che ai loro padri”.

 

Giornata Mondiale per l’Infanzia

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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