Lo avevamo detto

Lo avevamo detto: qualcosa si è rotto dopo le parole di Mazzarri alla vigilia del match con la Juve. Il suo dire sospeso, quella volontà accompagnata a un viso teso di smettere alla fine dell’anno, quel riposo cercato e quel fastidio per uno stress diventato insopportabile.

Parole legittime, per carità, ma cadute in un tempo inopportuno, come una nebbia a Maggio o una cileigia a Natale. Non si può, in un momento di esaltazione generale e di risultati intensi, adombrare una fine e una morte. Questo è stato fatto, queste sono state le parole spiazzanti di Mazzarri: “Forse a fine anno potrei smettere per un po’, sono stanco”.
E da allora tre sconfitte e una vittoria di misura con il Chievo. C’è una contiguità spaventosa tra le sue parole e la discesa all’inferno del Napoli, c’è il fondato sospetto di un rapporto unilaterale di causa-effetto, c’è la stretta correlazione che nessuno può far finta di non vedere.

Il gruppo ha perso serenità, e chi perde serenità perde l’uomo in area e il tempo giusto per piazzare la palla. Elementi di psicoogia elementare concordano nel sostenere che bisogna cavalcare l’ebbrezza del successo, trasferendo quel dato temporale in qualcosa che può essere eterno. Tutti gli uomini hanno bisogno di credere che la loro felicità possa essere eterna, anche se razionalemtne sanno che non è così. Nella felicità, sull’altare si dice “Per sempre”, anche se sappiamo che quel “Per sempre” è una probabile illusione.

Mazzarri ha contravvenuto ai principi primi della psicologia di un gruppo. Ha regalato un orizzonte limitato all’ebbrezza, ha sgonfiato, con la sua probabile assenza futura, la dedizione assoluta di una comunità calcistica.

Allenatore nervoso, che si nega alle conferenze, che minaccia l’addio, che si avvita in discorsi su ingaggi e posizioni in classifica. Qualcosa non va, e non mi dite che è solo un caso la conferenza pre-Juve e il torpore della squadra. Il dopo segue sempre il prima; il prima anticipa sempre il dopo. Questa è una sciocchezza logica, ma forse non tutti la praticano.

Carlo Lettera

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