Aspettando sabato.. La Juve gioisce, l’Inter sorride, il Napoli affonda

Da Pierpaolo Marino a Bigon, passando per l’assente Cigarini e il “Tanque” Denis, nella partita contro l’Atalanta c’è una parte della storia recente del Napoli: il vero tifoso guarda alle altre squadre a partire dalla propria, ha interesse per le altre compagini  perché dividono qualcosa con la propria; lo spazio di un match come avversari o, nel caso dell’Atalanta, anche pezzi di vissuto.

Lo scontro con i bergamaschi sarebbe potuto essere, in una certa misura, una partita dal sapore nostalgico: un modo per mettere a confronto il Napoli di ieri, targato Marino, e quello di oggi, targato Bigon; l’occasione per evidenziare i progressi ottenuti, la solidità di una formazione il cui processo di crescita, a livello societario e nella gestione della panchina, dovrebbe salire di rendimento mettendo rimedio alle debolezze e rafforzando alcune convinzioni.

Sul campo, purtroppo, abbiamo avuto solo la possibilità di confermare le certezze più scomode (quelle che ci portiamo dietro da anni): il Napoli non sa amministrare, non riesce a penetrare le difese chiuse; presenta, sulla fascia sinistra, ancora molteplici problematiche.

L’assenza dell’infortunato Zuniga ha reso vulnerabile una squadra che non è stata in grado, nella sessione di mercato, d’investire nei reparti che necessitavano di evidenti correzioni; Dossena, infatti, dimostra, una volta di più, di essere un giocatore malinconico, incapace di farsi trovare pronto nei momenti in cui è chiamato a ricoprire il ruolo di titolare. Sfortunatamente alcuni giocatori non riescono a metabolizzare le esclusioni e, a tal proposito, Dossena non è in grado di rendere se viene lasciato in panchina per troppo tempo; una questione decisamente invalidante per un club di A costretto a far fronte a numerosi impegni ravvicinati.

Ancora una volta sono i movimenti degli esterni a non convincere; in particolare Maggio dimostra di non saper sfruttare le evidenti debolezze del suo diretto avversario Brivio e, inoltre, non riesce, a dovere, ad aiutare Campagnaro nella fase difensiva.

Si è aperto uno scenario poco confortante: se sino ad ora ci siamo cullati nell’illusione che il Napoli dei titolari di Mazzarri fosse una squadra più compatta, preparata, in grado di reagire alle difficoltà invece scopriamo, almeno in questa partita, che i “titolarissimi” sanno, in misura decisamente minore, emulare l’incapacità di posizionamento in difesa; prerogativa del “Napoli B”.

D’altronde sarebbe ingiusto puntare esclusivamente il dito contro la difesa; nell’azione del gol si sono dimostrati poco incisivi (permettendo agli atalantini, con pochi tocchi stretti e veloci, di saltare i diretti marcatori, fare arrivare il pallone ad un indisturbato Cazzola e, dopo la ribattuta di Denis, piuttosto libero al limite dell’area, dare l’occasione a Carmona di esplodere un tiro a volo imparabile e, questa volta, realmente impossibile da contrastare) ma è l’attacco ad avere le maggiori colpe; privo di Cavani risulta spaesato nell’impossibile impresa di trovare un terminale offensivo stabile e adeguato.

Pandev, il peggiore del reparto avanzato, è la brutta copia di quello visto ad inizio stagione; i fasti sembrano finiti..

Molti, a questo punto, potrebbero avanzare, a ragione, delle proteste ai danni della dirigenza che non ha saputo offrire la prima punta necessaria a fare il salto di qualità e, inoltre, ha indebolito la squadra di un elemento indispensabile. Non ho neppure la forza, il coraggio per nominarlo; sarebbe quasi scontato parlare di Lavezzi nei momenti difficili..

Eppure è proprio in queste circostanze che i rimpianti si fanno sentire e, con le prestazioni di Pandev, investito chissà da chi e chissà perché dell’arduo compito di titolare fisso (non si tratta di disfattismo; è solo un’analisi lucida sul fatto che il Napoli meriterebbe un giocatore più continuo del macedone che dimostra di avere due facce e, quando accusa un calo di forma, mostra la peggiore), rendono il sentimento di abbandono più intenso.

Tutti gli occhi sono puntati sul talentino Insigne: è indubbio che, crescendo, diventerà un campione, è evidente che sa essere forte, propositivo e atletico, anche quando è costretto  a prendere in mano le redini dell’attacco ma, proprio per questo, sento di poter dire che la sua vena risulta imbrigliata da un allenatore che non riesce a fare una scelta forte schierandolo titolare più spesso; permettendogli di fare il vero salto di qualità. Il piccolo Lorenzo ha bisogno di minuti; deve assaporare le difficoltà del campo per rendere il suo gioco, fatto di fraseggi poetici, un’arma incisiva e micidiale.

A Napoli il confronto con la Juve è costante; è una compagine che ci costringe a riflettere i sogni in uno specchio incrinato rendendo deformate le nostre aspettative, i desideri del primato in classifica ma, dopo la partita disputata allo stadio “Atleti Azzurri d’Italia”, alla luce dei nuovi fatti registrati, mi sento di affermare che  ha gioco facile nell’infrangere le nostre ambizioni.

Un Napoli che si fa troppo male da solo, troppo spesso, si trova relegato al terzo posto in classifica; per la prima volta dall’inizio del calendario il campionato di A registra uno stacco e, se la Juve gioisce, l’Inter sorride.. Aspettando sabato.

Gianmarco Cerotto

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