Il trombettiere del Filadelfia

Sul film “Ora e per sempre”, di Vincenzo Verdecchi

 

Erano gli anni del dopoguerra. Era il tempo in cui Vittorio Pozzo, dopo i trionfi degli anni ‘trenta, aveva dovuto affrontare la prima grande crisi del calcio italiano, a cavallo tra due scuole di pensiero, una tradizionale, rigorosa, accademica, a tratti militarizzata, e l’altra innovativa, che prendeva la creatività estrosa del Sudamerica e il piglio sereno e moderno del soccer inglese. Ed era un calcio che in qualche modo iniziava a funzionare, raccontato dalle voci sobrie e discrete dei radiocronisti del tempo, col loro timbro in scale di grigio, pervaso da un qualche genere di ironia d’altri tempi, che pareva aver preso le stesse scale cromatiche dei quotidiani del tempo. Di quel periodo, dei secondi anni ‘quaranta, resterà sempre simbolo universale il “Grande Torino” di Valentino Mazzola, scomparso il 4 maggio del 1949, in un disastro aereo, quando, il velivolo che trasportava tutta la squadra, i dirigenti e alcuni giornalisti, precipitò sulla collina della Basilica di Superga.

Vincenzo Verdecchi, col film “Ora e per sempre”, prodotto nel 2004 dalla casa indipendente Verdecchi e uscito nel settembre del 2005, racconta, attraverso una particolare vicenda familiare, il sentimento immortale che ha sempre legato gli appassionati di calcio italiano alla rappresentativa del Torino, da molti considerata come la più grande squadra italiana mai esistita. La trama del film di Verdecchi fonda due vicende personali. Quella dell’inglese Michael Sutten (Enrico Ciotti), anziano funzionario della Federcalcio britannica, e quella di Valentino Motta (interpretato da Gioele Dix), direttore di un’importante casa editrice, inizialmente molto distante dal mondo del calcio e assai restio ad avvicinarvisi, fin quando, dopo la morte del padre, scopre che desiderio di quest’ultimo era che il figlio riuscisse a ritrovare una vecchia tromba.

Inizia, così, un viaggio a ritroso nel tempo, dove Verdecchi racconta, attraverso un doppio piano temporale, l’aneddoto del tentativo di organizzare una partita tra il grande Torino e la nazionale inglese, e le difficoltà per Valentino nella serrata ricerca di questo misterioso strumento musicale. La fatidica tromba è lo strumento che, nella realtà, Oreste Bolmida, trombettiere del Grande Torino, suonava allo stadio Filadelfia ogni volta che vedeva la sua squadra in difficoltà. E sembrava funzionare, quel rito romantico e scaramantico, che pareva rinvigorire l’entusiasmo degli undici granata in campo, sempre capaci di recuperare risultati inizialmente compromessi. Quella tromba, mezzo di un sacro rituale, conserva il suono che rappresenta il legame indissolubile tra la tifoseria granata e i loro beniamini, anche dopo la scomparsa della squadra.

Intanto, l’organizzazione dell’incontro tra l’Inghilterra e il Torino, procede non senza difficoltà. Sutten, incaricato dalla Federazione inglese di occuparsene, si rivolge al giovane Pietro (Dino Abbrescia), autista di professione, squattrinato nostalgico del fascismo e amico di alcuni calciatori del Torino, che cerca di guadagnare qualche soldo facendo da tramite nell’operazione. La faccenda si complica quando Sutten e il trombettiere Mario (Luciano Scarpa), anch’egli coinvolto perché amico di Mazzola, s’innamorano della stessa donna, Sally Burke, insegnante inglese dell’Università di Torino, interpretata da Kasya Smutniak. I due pretendenti, già in rotta di collisione per ragioni legate alla guerra da poco finita, diventano rivali e il loro rapporto conflittuale accompagna i giorni che precedono il 4 maggio 1949, data in cui tutta Torino e tutta Italia sono costrette a subire il dolore dell’incidente aereo che a Superga cancella una grande squadra di calcio.

Il doppio piano narrativo, però, riserva a Valentino, che attraverso la ricerca della tromba recupera un difficile rapporto col giovanissimo figlio, ragazzino molto affezionato al ricordo del nonno, una scoperta imprevista. Lo stimato direttore editoriale che ormai, in onore della sua ricerca, cede pure alle spietate logiche imprenditoriali dell’editoria, si accorge che il disegno del padre è ben più alto e raffinato, perché, con una nuova e sorprendente scoperta, fa comprendere a Valentino che quella tromba non è soltanto il nodo che tiene insieme il ricordo del Grande Torino ai suoi tifosi, ma pure l’intimo e profondo rapporto tra un padre e un figlio. Valentino ritroverà la tromba e con essa anche l’identità di colui che, per anni, in ossequio dell’amore per la propria squadra, aveva affidato a quello strumento persino il suo nome.

Verdicchi, col suo film Ora e per sempre, non sembra voler produrre una vera e propria opera cinematografica, piuttosto un lungometraggio affidato al racconto di tante voci, riunite nella potenza della memoria e della sua perpetua trasmissione. Ogni personaggio della vicenda, con discrezione e umanità, serba dentro di sé un sogno, e ogni aspettativa pare legata al destino di quella squadra di calcio e a tutto quello che essa inevitabilmente rappresenta. Eppure, ognuno di quei personaggi riuscirà, a modo proprio, a comprendere e a far suo il momento più importante di quel periodo. L’urgenza, per molti, di utilizzare il calcio per il recupero di un’umanità che la guerra aveva cancellato.

Quando Valentino, ormai prossimo al ritrovamento della tromba, incontra un invecchiato Pietro (Giorgio Albertazzi), il grande amico del trombettista, l’autista gli rivela di aver conosciuto suo padre, rivelandogli che questi, dopo la scomparsa della squadra, pur recandosi ogni volta allo stadio, preferiva restare fuori, ascoltando la partita alla radio. Perché? Perché era talmente innamorato di quei colori e di quel ricordo così forte, che voleva ascoltarlo dalle parole del radiocronista, il gioco del Torino, per immaginarlo sempre riprodotto da quei ragazzi che non c’erano più. Una battuta di Valentino Motta nel film, forse, dice molte cose. “Il ricordo non è il rimpianto di quello che non c’è più. Il ricordo è la certezza gioiosa di quello che c’è stato”.

La produzione “Ora e per sempre” è stata dichiarata film di interesse nazionale e ha ispirato successive iniziative rivolte a raccontare la storia del Grande Torino.

 

sebastiano di paolo, alias elio goka

 

In foto, copertina del film per confezione vendita

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