La gente come noi non molla mai…

Il buio lugubre squarciato da un azzurro intenso, la quiete sovvertita e tramutata in tempesta di suoni. La notte dei desideri. Attesa con ansia da 24 anni sull’uscio della città, ha bussato al cuore dei partenopei il 20 maggio 2012. Una “carrambata” destinata a fermare il tempo. E’ l’alba di un nuovo giorno, quella che non sembrava mai arrivare dopo la fantastica conquista della Coppa Italia di domenica scorsa. Sulle note del Nessun dorma, migliaia di tifosi ubriachi di gioia andavano a zonzo per le vie della città. Ore interminabili. Il riflesso della Coppa nella fioca luce delle 6 del mattino dimostra quanto quella notte abbia coinciso con l’eternità, rubandole l’essenza. La vita deve andare avanti, ma lei sarà la compagna di viaggio di tanti napoletani, stringerà loro la mano quando si sentiranno soli e senza vie d’uscita. Una notte beffarda, che ha mostrato ai suoi adepti l’eclettismo degli abiti che indossa. Napoli tremava di passione, rimbombava tra i vicoli e i palazzi quel sentimento indigesto trattenuto troppo a lungo sulla bocca dello stomaco. Non molto lontano, le terre emiliane tremavano di paura e sconforto. La gente era in strada anche lì, vomitata fuori dal proprio nido d’amore. Qualcuno non potrà più ricomporlo, le macerie non hanno sotterrato solo i ricordi ma anche gli affetti più cari. Da una parte un popolo piangeva per un traguardo raggiunto dopo anni di soprusi; dall’altra cittadini indifesi si disperavano perchè sottratti di un traguardo conquistato con le unghie e con i denti. Accostamento estremo, folle, inaccettabile. ‘Na sera ‘e maggio ha voluto ergersi a metafora dell’esistenza. Piaceri e dolori che convivono, si intersecano e lasciano sbigottiti. E se aveva ragione Schopenhauer, meglio godersi fino all’ultima goccia questi sprazzi di felicità.

UNA ROTONDA SUL MARE. Un pellegrinaggio lento e festoso. Inizia così la serata più affascinante della storia recente del Napoli. Rotonda Diaz addobbata per le migliori occasioni, il maxi-schermo a scrutarla dall’alto. Via Caracciolo chiusa al traffico riscopre il profumo della salsedine, coppiette avvinghiate sul far della sera e bambini che scorazzano. Pian piano tutti si indirizzano verso il cuore pulsante di Chiaia. Sciarpe, bandiere, magliette, trombette. Regna l’azzurro, spunta qualche revival: dalle nostalgiche divise griffate Mars e Voiello, alle più attuali ma ugualmente malinconiche “Finalmente Champions”. Arrivano le telecamere televisive, tutti ad urlare e cantare, assediato e tormentato il giornalista di turno. Un bizzarro personaggio avvolto in una bandiera di Diego, con un sombrero e una cintura di cornetti portafortuna in vita, pronostica un 3-0 del Napoli con la firma dei tre tenori. Sono le 20,15. Quel lembo della Riviera è gremito, la coda di questa Sirenetta con i colori del cielo e del mare si snoda fino a piazza Vittoria. Ringhiere e bidoni presi d’assalto, lo spazio si riduce. La tensione del proprio vicino avvelena il sangue. Un boato. C’è il collegamento con la Rai, compaiono i 30mila fedelissimi che hanno invaso l’Olimpico. Uno schermo fa da ponte tra le emozioni di Roma e Napoli, all’unisono parte il coro “Devi vincere!”. Un’esortazione, un imperativo. Come ogni ordine si instaura dall’alto verso il basso, trasuda dagli spalti e si intrufola negli scarpini dei calciatori di Mazzarri negli spogliatoi. Squadre in campo, la Rotonda si esibisce in una coreografia di bandiere e stelle filanti.

FISCHI PER FIASCHI. Arisa canta l’inno di Mameli, fischi assordanti. Tante polemiche per l’accaduto. Prima perplessità. Una melodia rappresentativa dell’intero Stivale cantata da un’artista dichiaratamente schierata, per di più vestita di bianco e nero. Seconda perplessità. Le manifestazioni di protesta in un Paese dove la democrazia è ormai carta straccia sono all’ordine del giorno. Le tasse e gli strozzini autorizzati calpestano la dignità dei cittadini, la violenza colpisce addirittura le scuole unica fonte di rinnovamento, le stragi impunite ridicolizzano la giustizia, la politica va a donnine finanziata dai soldi pubblici. Bene, in un’Italia ridotta così male, le istituzioni restano “scandalizzate” dai fischi a Mameli. Piaccia o meno, è un segnale di dissenso anche quello. Sia chiaro l’atto è certamente da condannare, perché il richiamo all’unità è doveroso in periodi come questo. Ma se si crea malessere, anche le icone pagano dazio. Alle favole non crede più nessuno. Terza perplessità. 20mila euro di multa alla società per questo “affronto”, dopo un anno trascorso a patire cori beceri e striscioni di pessimo gusto mai sanzionati. In quei casi l’Italia unita si può schivare senza clamori. Nessuna perplessità. E’ tutto chiaro.

VOX POPULI. 90’ minuti di battaglia. 90’ che esprimono un’incredibile similitudine tra le giocate della squadra e le profonde peculiarità della città. L’ingegno e l’astuzia nella spizzata di Cavani per il blitz in area di Lavezzi per il rigore dell’1-0 nascono nel ventre di Partenope. Poi tutti arroccati a difendersi dalle ingerenze esterne, con l’ardore e la capacità di sopportazione di chi è abituato a vivere la sofferenza. Nel peggior momento il lampo di genio, Pandev estrae dal cilindro l’assist per il fendente decisivo di Hamsik. Attingere le risorse dal proprio repertorio per rinascere. Napoli riconosce sé stessa tra quelle maglie azzurre, si identifica. Emblematico il coro intonato dalla Riviera “La gente come noi non molla mai”. Mille sacrifici, bistrattati e mai supportati. Alla fine, però, la sospirata ricompensa. Fischio finale, battuti gli acerrimi nemici juventini. Napoli sogna. Ma quando apre gli occhi c’è capitan Cannavaro, Paolo e non Fabio, che solleva la coppa al cielo della Capitale. E’ tutto vero. Piove su via Caracciolo, piangono commossi anche i napoletani da lassù.  Il Pocho ruggisce sotto la curva, è la riscossa di un popolo. Invaso il terreno di gioco dell’”Olimpico, inondati d’amore i calciatori ai quali vengono strappati perfino i calzini. I supporters impazziti sfuggono al controllo degli stewards. Vince una fede, vuole sentirsi partecipe. Fin troppo. Uno sparuto gruppo di sostenitori si impossessa della coppa, facendo rivivere le scene del film “Scuola di ladri” con il trio Banfi, Boldi e Villaggio all’attacco della Coppa del mondo. Un episodio esilarante, unico nel suo genere. Un azzardo in chiaro stile partenopeo. La voglia di stupire e di stupirsi, sempre. Unici.

NAPOLI IN FESTA. Abbracci e lacrime anche davanti al maxi-schermo. Qualcuno in ginocchio, volgendo lo sguardo al cielo, esulta come Cavani. O, semplicemente, ringrazia. Via alla diaspora di tifosi. Sono le 23 e già impazzano clacson e cori, catapultando giù dal letto l’intero capoluogo. Dal lungomare al Vomero, da piazza Garibaldi a Scampia, un trofeo partorito dopo 24 anni è da festeggiare con migliaia di fiocchi azzurri. La galleria Vittoria è già intasata, i caroselli si moltiplicano con il passare dei minuti. L’adrenalina sale, la tachicardia è padrona incontrastata. Scooter parcheggiati nel bel mezzo della carreggiata, la gente si arrampica sulle pensiline, sugli alberi per cantare e strombazzare. Il rito riacciuffato dal passato glorioso è il tuffo nella fontana di piazza Trieste e Trento. Un’autentica presa d’assalto, equilibristi denudati cantano a squarciagola “O’ surdato ‘nnammurato”. L’inno di tante vittorie torna a percuotere le corde vocali dei napoletani, dopo aver girovagato per scherno gli accenti raccapriccianti di polentoni senza identità. Non mancano i classici manifesti funebri per la Vecchia Signora sconfitta, nonché striscioni che testimoniano un legame e una creatività difficili da emulare. “Non tifo Napoli…lo Amo…è diverso” oppure il proverbiale “Godo” che incornicia un asinello mentre abusa bassamente di una zebra colta alla sprovvista.

E’ PASSAT A NUTTAT. Dopo le prime ore di baccano, nessuno è intenzionato ad imbroccare la via di casa. In realtà, in molti faticano anche a ricordare il proprio nome. L’obiettivo è evidente: aspettare l’arrivo dei calciatori. Notizie frammentate parlano di un approdo in città intorno alle tre, seguito da un tour a bordo di un bus scoperto. Esilarante. Ma sono ancora le due. Drappelli di tifosi si riuniscono un po’ ovunque. A piazza Municipio c’è un notevole assemblaggio. All’angolo un pastore tedesco, contrariato per un caos d cui avrebbe fatto volentieri a meno, con un cappellino tra le orecchie e la maglia del Pocho addosso. Fantomatici Inler con le maschere da leone sono in agguato. Schiaffeggiate e osannate tutte le auto in transito. Si applaude perfino il camion dell’Asia, la meraviglia degli operatori abituati a ben altro tipo di trattamento. Il Napoli è arrivato in città. Piazza Garibaldi è gremita, il bus tarda a muovere i primi passi. Intanto molti sostenitori spostano il proprio raggio d’azione a piazza Bovio. Uno stormo azzurro si posa sul monumento dedicato a Vittorio Emanuele II il quale, destato dal sonno eterno, sembra voler cavalcare l’euforia cittadina. Un’euforia che sta cedendo il passo alla stanchezza. Improvvisamente un centauro scatena un fremito nel torpore: “Passano per via Marina”. La carovana dei superstiti si riversa in direzione porto, chissà quanti di loro l’indomani hanno un orario d’ufficio da rispettare. Ore 5,35. L’alba bisbiglia alle orecchie del giorno. In lontananza appare un torpedone rosso, quasi surreale, tanto da sembrare un miraggio. Un sobbalzo. 10 ore dopo il tripudio di Roma, Napoli vibra ancora. Arrivano i guerrieri, foto e video si sprecano. L’autobus pare lievitare, trascinato dalle residue energie di una platea commovente. Cannavaro alza per l’ennesima volta la coppa; Cavani, Gargano, Maggio sono meravigliati dalla gente che a quell’ora ancora li acclama. E’ passat a nuttat, finalmente. Dovrà essere solo la preistoria di un’era nuovamente vincente. Siamo tornati a vivere emozioni finite in letargo per troppi anni. Ora ci abbiamo preso gusto. Ora ci siamo anche noi. Scusate il ritardo.

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