Il 10 maggio di 25 anni fa il Napoli si consacrava Campione d’Italia

10 maggio 1987: Il Napoli vince il primo scudetto della sua storia.

132 striscioni, 80.000 spettatori, un’infinità di radio accese e sintonizzate sul san Paolo, perchè, allora, la pay tv non aveva ancora contaminato il calcio.

Garella, Bruscolotti, Volpecina, Bagni, Ferrario, Renica, Carnevale, De Napoli, Giordano, Maradona, Romano.

Questi sono i nomi degli 11 calciatori chiamati a battersi contro la Fiorentina, che hanno calpestato l’erba del San Paolo quel giorno, entrando, così, dalla porta principale nell’Olimpo degli Dei, per aver scritto la pagina più memorabile della storia del Napoli.

Alle 16.29 il Napoli passa in vantaggio con un gol siglato da Carnevale.

Napoli trema e non per effetto di un brutto scherzo tirato dal Vesuvio.

E’ il sussulto partorito dall’ incontenibile gioia della sua gente a scuotere.

Un giovane alle prime armi, o meglio, ai primi calci, un certo “Roberto Baggio”, riporta il risultato in parità.

Ma poco conta.

Mancano una manciata di minuti al triplice fischio finale, allorquando il tabellone luminoso, – perchè 25 anni fa il San Paolo ne era provvisto – comunica al popolo azzurro che l’Inter perde a Bergamo.

Quel risultato fu prontamente scalzato da una scritta che lampeggiava scandendo il ritmo dei battiti del cuore dei napoletani: “Napoli campione d’Italia.”

Lo stadio intona a squarciagola “O’ surdato ‘nnammurato”.

A quel coro si associano i napoletani fuori dallo stadio e anche quelli sparsi in tutto il mondo.

Caroselli, la festa, grande, indescrivibile, come le emozioni, intrise di quell’ allegro ed originale folkrore, unicamente napoletano.

I bambini di allora, sono i ragazzi, aspiranti uomini di oggi.

Di quel giorno conservano ricordi vaghi, sfuggevoli, rumorosi, intrisi di gaudio, goliardia, allegria, felicità, ma non sanno e non possono definirsi testimoni oculari dell’evento.

Crescendo, però, hanno imparato a comprendere quanto sia rilevante quello che Maradona e company hanno conquistato 25 anni fa e non possono fare a meno di sognare che quei giorni possano essere, quanto prima, nuovamente vissuti tra i vicoli dei quartieri e Piazza Trieste e Trento, sul lungomare di Mergellina e in lungo e in largo per tutta la provincia, in ogni casa, dentro ogni anima azzurra.

Gli uomini di allora, sono i nonni di oggi, che, raccontano ai nipotini, seduti sulle loro ginocchia, la storicità di quella giornata, con più orgoglio di quanto, in passato, hanno carpito negli occhi dei loro nonni, quando le storie da raccontare ai nipotini erano le gloriose imprese perseguite sul fronte di guerra.

Perchè, in effetti, è così.

Quel pomeriggio del 10 maggio 1987, il Napoli ha vinto la sua guerra calcistica ed ideologica più significativa.

Ha vinto per la città, per la sua storia, per la sua gente.

L’azzurro del Napoli ha terminato la sua scalata finendo sul gradino più alto, lasciandosi dietro i signori di Torino, Milano, e tutti gli altri.

Quelli abituati a denigrare “i terroni” e ridacchiare delle sciagure in cui imperversa il Sud, attribuendo alla gente che colora ed anima questa fetta d’Italia, i soprannomi e le offese più riprovevoli e mortificanti che la stupidità e la stoltezza umana può essere in grado di partorire.

Oggi, come allora, come accade sempre, da sempre.

Ma, 25 anni fa, il razzismo e i pregiudizi, consuetamente accostati al nome “Napoli” , in ogni sua forma e sfumatura, in qualsivoglia ambito e contesto, sono rimasti ammutoliti, attoniti, strozzati in gola.

Impotenti, disarmati, incapaci di dissipare odio e mortificazioni.

Quel giorno no, non potevano.

L’urlo di Napoli, della sua gente, non poteva essere coperto.

Troppo imponente, sontuoso, maestoso, fiero, assordante, travolgente, anche per loro, persino per loro che sono abituati a guardare verso il Vesuvio dall’alto verso il basso.

Non quel giorno.

Quel giorno, la geografia calcistica, ha disegnato una nuova Italia, con Napoli sovrana e il Nord inerme e muto, con il capo chino, a rimuginare su quella sua prima, grande disfatta.

La  sera, i giocatori, in Piazza del Plebisicito, accompagnati da Lina Sastri, abbracciati e coccolati dall’infinito bagno di folla che inondava la piazza, così cantavano:

“Era de maggio e te cadeano nzino
a schiocche a schiocche li ccerase rosse,
fresca era ll’aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciente passe.

Era de maggio; io, no, nun me ne scordo,
na canzona cantàvemo a doie voce;
cchiù tiempo passa e cchiù me n’allicordo,
fresca era ll’aria e la canzona doce.

E diceva: «Core, core!
core mio, luntano vaie
tu me lasse e io conto ll’ore,
chi sa quanno turnarraie!»
Rispunneva io: «Turnarraggio
quanno tornano li rrose,
si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stonco ccà».

E so’ turnato, e mo, comm’a na vota,
cantammo nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s’avota,
ma ammore vero, no, nun vota vico.
De te, bellezza mia, m’annammuraie,
si t’allicuorde, nnanze a la funtana:
ll’acqua llà dinto nun se secca maie,
e ferita d’ammore nun se sana.

Nun se sana; ca sanata
si se fosse, gioia mia,
mmiezo a st’aria mbarzamata
a guardarte io nu’ starria!

E te dico: «Core, core!
core mio, turnato io so’
torna a maggio e torna ammore,
fa de me chello che buo’!».

In attesa di poter raccontare una nuova “era de maggio”, nostalgicamente ti auguriamo “buon anniversario Napoli!”

Luciana Esposito

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