Nella Bologna di Dalla, l’uomo che sognava di rinascere a Napoli

Quando un uomo è innamorato è capace di tirar fuori dall’anima espressioni dettate dalla melodia delle emozioni, stimolato da quel fuoco che arde dentro e che porta in superficie, sulle onde della passione, il suo canto d’amore. In modo naturale, con la semplicità che lo contraddistingueva, questo piccolo grande uomo, il compianto Lucio Dalla, è stato uno degli ultimi a dichiarare di essere innamorato di un modo di essere e di vivere, di un dialetto, di una cartolina che ritrae il Vesuvio, il mare, la storia di Napoli, fatta anche di vicoli, palazzi, scugnizzi, i lati oscuri e quelli colorati di uno status che riteneva essere privilegiante. Era una dei pochi esempi di napoletani non nati a Napoli, così forte era il legame con la nostra terra, tanto da sognare di viverci almeno una volta al giorno, avendo come desiderio il saper parlare e pensare come un napoletano. “Se ci fosse un’iniezione intramuscolare di napoletano, pagherei qualsiasi cifra per farmela iniettare” dirà in una delle sue interviste, quando ricamava le lodi di uno spirito del sud, di una persona che covava dentro di se ispirazioni strettamente legate alla propria terra, l’ultimo dei poeti romantici legati a quella vecchia e stupida tendenza di essere innamorato dell’Italia, quasi una mosca bianca negli ultimi tempi. E Napoli, così come lo era Bologna, è stata di certo come una donna meravigliosa, semplice, mai volgare, ma che sfoggia il nostro dialetto e che parla d’amore e della luna, in grado di colpire al cuore Lucio per farlo cadere nelle sue braccia, tra il borgo marinaro e i quartieri, poggiando la testa sul cuore, ascoltando i battiti che riecheggiano la storia di una città impregnata di vita vissuta, tra le gioie di una donna anziana che cammina per i vicoli ed un bambino con un pallone sotto il braccio. Il “Dalla” innamorato si era ispirato grazie anche alla tradizione musicale antica di Napoli, rimanendo folgorato da una delle canzoni più belle mai scritte, “Anema e core“, di cui adorava il testo in sintesi, semplice, puro e privo di eccessi drammatici, magnifico nel suo genere. Grazie poi ad uno degli autori napoletani più amati, ha scritto uno dei suoi più famosi brani musicali, quella “Caruso” che ancora oggi viene spontaneo cantare per quanto sia rimasta nella mente di tutti quelli che sentono parlare della nostra città. Una partita di calcio non potrebbe significare nulla al cospetto di una così significativa e rara storia d’amore tra un uomo ed una città, eppure questa partita, a poco più di due mesi dalla sua morte, ha il significato di un addio prolungato, come due mani che si tengono strette e non vogliono staccarsi, come un legame talmente stretto che è doloroso e struggente doversi dire addio per sempre. Sembra ieri che Dalla, in dialetto napoletano ben studiato, mantenendo inflessioni bolognesi immancabili. dichiarava: “E fin quando teng ò fiato dint a vocca canterò sempre in napoletano … ò fridd n’cuoll”. Già, da brividi, senza dubbio. Ebbene, vogliamo approfittare di tale occasione per stringerci ancora una volta alla sua città natia per dire grazie per aver portato un messaggio positivo e disinteressato della nostra meravigliosa terra, come uno scudo che ha imperversato tra i luoghi comuni e gli effettivi disagi che ci attanagliano, come un messaggero dai sentimenti profondi e poetici, narratore di storie cantate, barbuto e cazzuto com’era. Grazie per averci amato, Lucio, noi non ti dimenticheremo, grazie anche alla tua eredità, fatta di capolavori artistici veri e propri, canzonette, ballate, versetti poetici trasformati in pezzi musicali d’altri tempi. Grazie mille vecchio cantastorie, grazie a te che dicesti “ La prossima volta voglio nascere qui, il mio sogno e poter essere napoletano a tutti gli effetti, non solo importato“. E sia ….

Ecco uno dei video dove Lucio Dalla “tesseva” le lodi della sua passione per Napoli:

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