Napoli: un viaggio a Londra all’insegna del self-control

Il calcio, giocato a certi livelli, regala sempre spettacoli incredibili e qualche volta inaspettati. Prima del ritorno di Champions League tra Arsenal e Milan in pochi avrebbero scommesso su una reazione rabbiosa dei Gunners capace di far venire il fiatone ai rossoneri e soprattutto ai tifosi, intimoriti dal possibile rinnovarsi di incubi europei come La Coruña e Istanbul. Una qualificazione ai quarti di finale col patema d’animo, ma che dimostra come sia obbligatorio mantenere la concentrazione in 180 minuti ed anche oltre. Non si fanno calcoli, niente turnover, si scende in campo solo per conquistare l’intera posta in palio. Probabilmente questi episodi stupiscono ancora il panorama sportivo italiano poiché c’è da troppi anni la tendenza ad arrendersi prima del tempo, del rimandare a data da destinarsi un eventuale riscatto e di reprimere la scalpitante voglia di successo. Atteggiamenti in completa antitesi col resto d’Europa dove la cultura agonistica a più livelli, e non solo, impone sin dalla nascita del singolo individuo la direttrice dell’obiettivo da perseguire come una tappa fondamentale della propria crescita.

Vittoria, evoluzione e cambiamento: sono termini ricorrenti nel Napoli degli ultimi sette anni votato al work in progress continuo. Uno scalino dopo l’altro e si è arrivati tra le migliori sedici squadre del continente superando compagini ben più superiori tecnicamente e finanziariamente. La fortuna, che segue la bravura oggettiva della banda Mazzarri, sta proprio nell’aver incontrato team dalla esperienza consolidata, nell’aver acquisito indirettamente i crismi necessari per trasformarsi in realtà internazionale. La politica dei piccoli passi e dell’umiltà impone la conquista di una nuova e possibile dimensione attraverso uno stadio iniziale che passa attraverso il giudice supremo del calcio, ossia il rettangolo di gioco.

La sbornia di Carnevale ai danni di un Chelsea smarrito e senza nerbo va interpretato solo come un piacevole episodio fine a se stesso. E’ opportuno fare tabula rasa, dimenticare la prestazione spumeggiante dell’undici partenopeo e proiettarsi allo Stamford Bridge con la consapevolezza che sarà ancora tutto in gioco. I Blues, inoltre, hanno cambiato guida tecnica su consiglio dei senatori perennemente affamati di gloria. Tra appena sette giorni ci sarà un autentico inferno inglese, e per uscirne vivi servirà sangue freddo e giusta forza. Il London Bridge è pericolante: a Lavezzi e soci il compito di assestare gli ultimi, decisivi colpi.

Giorgio Longobardi

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