Quando il coro canta e nessuno sa perchè

Da quando il calcio ha iniziato a prestare il fianco, non senza convenienze, ai colpi mediatici, siano essi congegni speculativi, funzioni celebrative o maldestre alchimie, da osservatore, appassionato, talvolta pervaso anche dalla necessità di liberarmi di ogni spirito di parte, ho potuto notare quanto questa simbiosi “mass media soccer” abbia assunto una nuova immagine del potere.

Niente di nuovo sotto il sole, laddove ovunque corra il denaro, se in proiettili, scarpette o carta straccia, corrono le scorie esistenziali che fanno dell’uomo un animale in pena di se stesso, e in preda ai peggiori rischi morali.

 

È ovvio che non si contano gli episodi e le storie che hanno colpito a morte gli onori artificiali di antiche glorie sportive, scalfendo con derelitto disonore i simboli “nobiliari” di un calcio a lungo protetto e salvaguardato più nelle stanze del potere, che reso tale dalle singole prodezze o le imprese di squadra.

Il doping, il calcio scommesse, la malavita, gli scandali di partite truccate, se non addirittura di interi campionati decisi fuori dal rettangolo di gioco, dissesti finanziari passati sotto silenzio, società salvate dalla politica dopo che erano state giustamente condannate dal fisco e dal diritto. Insomma, la fandonia a scopo di lucro, il faccendiere, il traffichino del calcio mercato, fino ad arrivare a loschi figuri legati ad ambienti “extraterritoriali”, con l’appoggio, a volte condizionato, altre volte incondizionato, di illustri e meno celebri calciatori, sono la faccia oscura della stessa medaglia.

 

Negli ultimi anni di calcio sfrenatamente televisivo ho potuto riflettere su quanto le televisioni e la “Rete” abbiano influenzato vicende nelle quali la giustizia sportiva, se non addirittura la magistratura, hanno attinto a memoriali mediatici come fonti sacrali di diritto.

Che la teconologia sia strumento utile non è qui in discussione, ma mi sorge più di un dubbio quand’esso diventa utilitaristico.

Mi riferisco a tutte le volte che la prova televisiva delle partite di calcio – utile al giudice sportivo per comminare squalifiche a calciatori protagonisti di infrazioni non rilevate, per impossibilità, dall’arbitro – non è uguale per tutti, e che venga utilizzata solo in alcuni casi e in altri la scorrettezza venga invece consegnata a un rallenty che sarebbe stato meglio non proporre.

E chi lo decide? Le televisioni. Troppo spesso noto che ci si affida a una grazia televisiva per alcuni calciatori, e altre volte a un’applicazione puntuale e severa di una regola affidata più al “caso” che a un’uniformità di utilizzo.

 

Ultimo è l’episodio di Maicon, calciatore dell’Inter, reo di aver bestemmiato durante l’esultanza per un goal. Non discuto qui se la regola dal gentil sapore d’etichetta sia giusta e valida, ma quando guardo le partite in televisione leggo più labbra bestemmiatrici che titoli video. Se questa regola fosse regolarmente applicata, la domenica successiva scenderebbero in campo i ragazzi delle primavere. Ecco che, prima di un derby, come quello di Milano, scovare una parolaccia può tornare utile. E – non essendo tifoso interista potrei sembrare più obiettivo – voglio iscrivermi nell’albo dei malpensanti.

Come vorrei restarci pure ripensando ad alcuni trascorsi di accanimenti televisivi in stile poliziesco, quando c’è stato da accertarsi a tutti i costi, da parte di alcune emittenti, di sputi e di schiaffi.

Non storca il naso il Lettore, per carità, detesto il calcio “sputato” e quello schiaffeggiato. Che vengano sempre puniti i responsabili di gesti “poco eleganti”. Ma vorrei che la regola non lasciasse dubbi su ipotesi discrezionali. O per tutti, o salviamoli tutti. Sa più di giustizia una regola non ancora consolidata che una discriminatoria.

 

L’ultimo episodio, di dominio pubblico, conserva significati che vanno oltre pure l’inaffidabile gioco delle parti messo in scena dal calcio televisivo.

Un video catturato da una diretta della partita Napoli – Lecce (poco prima di Natale), fa il giro del web e delle emittenti nazionali. Il portiere del Napoli, Morgan De Sanctis, scuote la testa dopo la quarta segnatura della sua squadra. Un suo compagno gli dice che mancano ancora sette o otto minuti. Abbastanza per pensare che ci sia sotto chissà cosa, facendolo circolare come la più infondata delle calunnie. Non mi soffermo sul fatto del perché il portiere abbia reagito così (anche perché non mi arrogo il diritto di stabilire la verità). Di reazioni strane e inconsulte se ne vedono tante sui campi di calcio, di tutto il mondo.

È la malafede, è la necessità di tenere alto il livello di endorfina pettegola e voyeur dell’Italia media. La “sete di giustizia” non conosce limiti. Solo che non abbiamo ancora compreso che il primo sintomo dell’ingiustizia è la cattiva e maliziosa distribuzione delle cose, pure delle notizie.

 

Al di là degli episodi citati, mi preoccupa la mancanza di serenità nell’osservare i fatti, da qualsiasi direzione essi provengano.

Non si è perso tempo, da parte di giornalisti e personaggi televisivi, e anche da molti tifosi, a ipotizzare con “intelligenza” sommaria l’ultima produzione cinematografica di un avventuriero internauta, poi amplificato dai potenti mezzi televisivi.

 

A novembre le autorità regionali campane decidono di non far disputare l’incontro di calcio Napoli- Juventus. Un diluvio, la mattina della partita, aveva reso molte zone di Napoli impraticabili, e un uomo aveva perso la vita a causa della caduta di un albero, mentre pochi giorni prima una tremenda alluvione aveva messo la Liguria in ginocchio.

Vista la necessità di impiegare le forze dell’ordine per la sicurezza della città, la autorità preposte decidono di rinviare la partita.

La sera, una nota emittente nazionale manda in onda un subdolo servizio televisivo per dubitare della decisione presa, in linea con una parte dell’opinione pubblica che aveva addotto a favoritismi per il Napoli, reduce dalle fatiche di Coppa dei Campioni. Credo che il garbato Lettore mi taccerebbe giustamente di facile retorica se mi soffermassi sulle desolazioni di certe opinioni.

L’induzione mediatica, ormai, anche nel calcio funge da leva di potere. Per cosa? Non lo so, e non cado nella tentazione di avanzare ipotesi che allo stato avrebbero più il valore di infondati vittimismi, sia pur avvalorati da un’aneddotica dalla geopolitica “dispari”. Piuttosto, rilevo una necessità collettiva di dimostrare che sono tutti corrotti, anche chi forse non lo è. Chi sente di essere dalla parte di un torto che si spiega ma che non vuole ammettere, tenta a tutti i costi di infangare una passione che avrebbe tutto il diritto di recuperare, e non di distruggere. A questo calcio che sta perdendo la serietà più che la credibilità, mancano il sentimento e la facoltà di recuperarsi.

 

Aggrapparsi a frivoli mezzucci non è il modo migliore per dimostrare eventuali disparità. Semmai ve ne fossero, quelle continuano a colpire chi le ha sempre subite. Ha avuto ragione l’attore Diego Abatantuono, quando, durante la trasmissione televisiva che aveva mandato in onda il servizio sul rinvio di Napoli – Juventus, ha definito “ridicole” certe prestazioni giornalistiche.

Le ultime saltate agli onori della cronaca poi, sanno di miserabile manfrina di cattivo gusto mediatico. Ancor più triste è notare che c’è pure chi si allinea volentieri. Saranno i freudiani rimorsi e le maldestre invidie di chi per decenni ha sostenuto imbarazzanti alterazioni sportive? “A ciascuno il suo” scrisse Sciascia.

 

sebastiano di paolo, alias elio goka

 

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