Cosa non si fa per il Napoli? da “Il Napolista

Sette dicembre, appuntamento con la storia: se non ne fossi razionalmente consapevole, ci penserebbe il mio corpo a ricordarmelo. Mi alzo con un nodo alla bocca dello stomaco che non si scioglierà durante la giornata, e me lo porto dietro al lavoro, dopo aver fatto colazione con il Buongiorno di Pavarotti (e non mi chiedete perché, noi napoletani si ‘na cosa funziona… e ho detto tutto, diceva Peppino de Filippo!). A scuola non è proprio una buona giornata, la tensione si palpa nell’aria sebbene siamo tutti in tutt’altre faccende affaccendati… Do uno sguardo alla sciarpa del Napoli che ho inchiodato sulla lavagna in terza C e mi viene in mente che se oggi mi arrabbio con qualcuno devo semplicemente conservarmi questa rabbia per stasera, insieme a ogni altra emozione. Ce la faccio, eccome se ce la faccio, incamero l’energia dei bambini, le loro risate, la loro capacità di divertirsi delle piccole cose, il loro sguardo perso sul pensiero magico, gli occhi che brillano, le figurine in mano… Durante la merenda uno mi fa: “Maestra, ce l’hai Cavani? Domani te lo porto, non ti preoccupare…” E mentre un altro gli ricorda che domani è festa, già sta ridendo della dimenticanza promettendo che al ritorno a scuola il volto del Matador sarà mio. Sfrutto la mia ora di spacco per correre a comprare le uova, me ne serviranno tante per stasera… E a Dio piacendo finisce anche questa giornata di lavoro. In fila per uscire è tutto un fiorire di tute, sciarpe e cappelli del Napoli e il custode mi giura che “Si succer’, qua faccio scoppiare il finimondo: lo vedi quel ciuccio del presepe? L’aggia pittà azzurro Napoliiii!!!”. Ovviamente gli do il mio beneplacito, mai mettersi contro la volontà di un tifoso convinto… E per me il ciuccio può essere solo azzurro!!! Gesù Bambino capirebbe, in fondo il Natale è gioia… e questa sarebbe la nostra espressione più profonda e fantasiosa della gioia pura che ti regalano giornate come questa. Torno a casa con il nodo allo stomaco bello stretto e dolorante, e mi metto subito all’opera per preparare il mio personalissimo amuleto antisfiga: una montagna di frittata di maccheroni da Champions League. Contro il City portò di un bene… e qualcuno se la ricorda ancora Che posso farci, mi riesce bene, come le cose che adoro mangiare. E così stempero la tensione in cucina tra grattugia, olio e caccavelle. Dopo ben tre ore ai fornelli, un chilo e mezzo di pasta, un pentolone di sugo (pecchè ‘a frittata adda essere rossa!!!), 27 uova e undici frittate undici (credevo fossero dieci ma quando le ho ricontate ho scoperto di aver creato una squadra completa di dischi volanti), mi lavo, mi preparo e leggo un po’ di commenti su Internet. E lì la tensione inevitabilmente aumenta col trascorrere lentissimo dei minuti. Il nodo allo stomaco è diventato “un pugno chiuso, sai…”. Finalmente arriva l’ora di andare da Armando, il padrone della casa dedicata alla Champions. Saremo in 15 solo perché qualcuno non riesce a venire. Convinco il mio amico Fabio a mangiare un pezzo di frittata prima del calcio d’inizio, come aveva fatto allo stadio col City. Lo fa perché per il Napoli si fa questo e altro. E poi di frittata ne mangerebbe un quintale, anche se intuisco che sta male più o meno quanto me. Occupo il mio solito posto e stringo le gambe al petto. Ormai sono convinta di avere un attacco d’ulcera. Mi tornano in mente le immagini di Inter-Napoli quando, da sola a casa con l’influenza, butto il sangue davanti alla tv che in hd mi restituisce le immagini da Milano, mentre il mio stomaco reclama il bagno. Allora attesi l’intervallo, stavolta nell’intervallo si deve mangiare. Sono digiuna dalla sera prima e mi convinco che un pezzo di frittata possa calmare quel dolore e sciogliere quel nodo… Povera illusa! Non riesco ad andare in bagno, la casa è troppo affollata. Credo di poter resistere… Ricomincia la partita, soffriamo e i maledetti inglesi vincono dall’altra parte. Ma lì ha nevicato e sta cosa porta bene… Intanto soffro, come soffro… Mazzarri sclera peggio di me e si fa espellere… e suona la carica per i nostri. In quel momento capisco che anch’io ho passato il punto di non ritorno: al 60′ mi alzo, scavalco la montagna umana che mi impedisce di uscire e corro in bagno a rimettere… e mentre rendo l’anima a Dio il Napoli segna… esulto dentro mentre rigetto fuori… lo so, fa schifo, ma c’aggia fa? E poi decido: rimango qui, chiusa in bagno. La partita la faranno rivedere cento volte, ma se questo serve a farci vincere io il sacrificio lo faccio. E davvero lo faccio: resto lì ad ansimare, vomitare, ed esultare: al gol di Hamisk cercano di tirarmi fuori da lì ma sono irremovibile: o cesso o morte. Arriva il 92’… a quel punto Armando, il nostro carissimo Armando, viene con le lacrime agli occhi a trascinarmi fuori con la forza per farmi vivere in diretta il momento del triplice fischio finale… “Dona, solo noi possiamo capire… noi che abbiamo vissuto tutto, anche la serie C! Ce lo meritiamo… dobbiamo godere, ormai è finita!” Vedo Grava in campo e capisco che ce l’abbiamo fatta. Il norvegese fischia e io mi sento rinascere. Le lacrime agli occhi salgono a tutti ma mentre gli altri brindano cerco di bermi ogni parola strappata al casino festoso dalle dichiarazioni dei nostri. E sento che la vittoria è merito nostro, di tutti noi… Dei nostri azzurri travestiti d’acciaio per blindare questo risultato che esultano guardando gli spalti e abbracciandosi. Del mister che secondo me si sarà sentito male come la sottoscritta, lui negli spogliatoi del Madrigal e io qui a Napoli a casa De Rosa… Di quelli che sono riusciti ad essere lì e di tutti noi che aspettiamo qui che tornino… e di tutti quelli che hanno guardato questa partita da lassù. Volevamo vedere la faccia di Mancini ma Sky non ci vuol dare questa soddisfazione. Hamsik interpreta il nostro pensiero augurandosi di non prendere Barça o Real agli ottavi. Bigon parla del mister che non ce la fa a venire ai microfoni. Noi guardiamo i risultati e pensiamo che nessuno più di noi si sia meritato questa qualificazione per come ce la siamo giocata. Ancelotti in studio è d’accordo con noi e invoca la dea bendata, alla quale abbiamo già pagato un tributo enorme quando ci ha relegato in un girone assurdo. Che ora ci lasci stare. Gli altri fanno calcoli e cominciano i discorsi sulle eventuali avversarie. Io mi auguro di poter seguire il Napoli anche in trasferta (e non dico chi vorrei prendere sempre per scaramanzia), mentre non vedo l’ora di guardarmi quella mezz’ora che ho perso in tv… Dichiaro il voto che avevo fatto prima dell’ultima partita del girone e di essere contenta di doverlo rispettare. Pagherò il biglietto e andrò a vedermi il cinepanettone di De Laurentiis. Da quest’anno chiamatelo cinebabbà. Fabio inorridisce al pensiero e dichiara che non mi accompagnerà, non ce la farebbe, ma già lo sapevo, il voto l’ho fatto io e non posso condividerlo con nessuno… Torno a casa e rivedo il secondo tempo della partita. Rivivo gli attimi di terrore vissuti mentre non sapevo e non vedevo, mi rivedo sofferente mentre cerco di tendere l’orecchio ai commenti che arrivano dall’altra parte della casa… e mentre salto per la gioia e mi accascio di nuovo sul gabinetto… e guardo le facce dei nostri a fine partita, la giostra azzurra della felicità. Mi sento come se mi avessero fatto una mazziata ma sono in preda ad una gioia incontenibile, e mi rendo conto mentre lo scrivo che ciò che ho fatto stasera è da malati mentali… ma che volete farci? Cosa non si fa per il Napoli?

di Donatella Sapone – fonte: Il Napolista

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