Le miserevoli avventure di Monsieur Football

Succede, a volte, a un uomo che ha percorso chilometri e chilometri in solitudine, di sostare presso locande o altri luoghi notturni, per interrompere il viaggio e ritrovarsi coi propri pensieri, malgrado essi non sempre lo confortino e ne attutiscano la malinconia. Allora capita d’imbattersi in creature sconosciute, che potrebbero custodire oscurità e segreti di tutti quei pensieri sparsi alla bell’e meglio nella testa del viaggiatore. Egli somiglia al destino di quegli sportivi disillusi, che niente hanno vinto e mai nulla vinceranno, oppure quelli precipitati dal trespolo altissimo della gloria e finiti a terra senza possibilità di risollevarsi. Il calcio ne ha affondati molti di questi relitti, allevandoli nella speranza e serbando loro disavventure e delusioni.

Ricordarsi tutto l’accaduto calcistico sarebbe quasi impossibile. Provate a chiederlo all’uomo bicentenario quante egli ne ha viste, e se gli andrebbe di raccontarle. La sua risposta sarebbe una risata grassa, magari davanti a un mezzo bicchierino di grappa, come gli allenatori delle ultime categorie, perduti tra la passione e lo sbarco del lunario. Ma, dopo la risata, un ghigno a stento trattenuto allontanerebbe la tentazione di proseguire a interrogarlo. Come un marinaio uscito da una novella di Melville, vi scaraventerebbe addosso la sedia e il bicchierino, maledicendo la vostra visita e urlandovi contro imprecazioni e bestemmie tratte dal più colorito campionario da stadio stracolmo. Una frustata di improperi segnerebbe per sempre una conversazione mai cominciata.

Vi volterebbe le spalle, dentro il suo cappotto scuro e polveroso, dandovi modo di notare soltanto le corone appese alla cintola. Un monaco del profano, quello sarebbe il vostro interlocutore per nulla cordiale e assai spigoloso. Vi ringhierebbe contro che il calcio che lui ha visto e giocato è un reduce dalla miseria e dalla solitudine. E che soltanto quello è il calcio che conta, rannicchiato come un topo di fogna nella chiavica che passa sotto il palcoscenico del danaro e dei riflettori. In uno slancio di generosità vi consiglierebbe di lasciar perdere, di non interrogarlo quel testimone di un calcio che vuole i panni del mito mortale della modernità. Che è un calcio abietto, che il calcio è abietto, che semina l’orrore dentro le viscere dei vinti e spreme la sete di successo dei vincitori. Che si nutre dei suoi stessi calciatori, dei suoi stessi guerrieri trasformati in soldati di ventura, quel calcio che umilia la precaria emotività dei tifosi e che li illude di soffrire per epiloghi dai risvolti spontanei.

Lo vedete? Lo riuscite a immaginare quel vecchio ricurvo chiuso dentro il suo rattoppato cappotto, mentre gli ciondolano dalla cinghia le coroncine appartenute a calciatori suicidi, a tifosi ammazzati, a uomini caduti nella disperazione? Quel fùtbol affiancato ai crimini contro l’umanità, come l’Argentina di Jorge Videla del ’78, oppure delle afriche fatte a pezzi nelle guerre civili? Riuscite a vederlo, quel calcio rinchiuso tra le sbarre della dittatura di Joao Havelange e di Joseph Blatter? Riuscite a vederlo quel soccer delle scommesse e dell’imbroglio, del malaffare e della malavita? Quello che senza ossequiare alcunché di umano, concede ai governi schiavisti di ospitare la sua poesia e farne un proprio orgoglio da onorare?

Quel vecchio nauseabondo vestito di stracci domani vestirà i panni eleganti dell’alta finanza e sarà una stretta di mano della diplomazia. Siederà in aule prestigiose e indosserà le tute e le casacche sotto i riflettori degli stadi leggendari.

Se riuscite a farvelo amico, se riuscite a convincerlo a voltarsi per non scagliarsi contro di voi, allora, quel vecchio, invitatelo a sedersi e a bere un altro bicchiere. Accomodatevi con lui, e osservandolo nella penombra di un lume acceso nel buio di un sotterraneo, ascoltatene il rantolo e la voce grassa, odoratene il cattivo odore e guardate nei suoi occhi arrossati, accese d’inferno come le pupille di un balordo reduce da una rissa notturna. Se vi riesce, persuadetelo a tirar fuori un gesto  di clemenza. Lui sa bene che voi, senza volerlo, da seguaci volontari, avete amato anche lui. Quello è il demone necessario affinché un credo meraviglioso e corrotto sappia di peccati e umani dissapori.

 sebastiano di paolo, alias elio goka

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