Intervista a Giovanni Martusciello

In esclusiva per gli amici lettori di spazionapoli.it, ci siamo messi in contatto con Giovanni Martusciello, ex ‘Empoli, Genoa e Catania.   Abbiamo interpellato, l’attuale secondo allenatore dell’Empoli, per una piccola intervista, parlando del Napoli e della sua carriera.

Giovanni quand’è stata l’ultima volta che hai visto giocare il Napoli quest’anno? Cosa ti ha impressionato di più?Secondo te quali sono i progetti futuri della società? Si punterà allo Scudetto? Un piazzamento Champion’s?

Il Napoli l’ho visto giocare contro il Milan, ma prima ancora contro il Villareal. Sinceramente sono rimasto impressionato più in coppa che in campionato, infatti avendo a disposizione entrambe le punte Cavani e Lavezzi la squadra ha risposto con personalità,intensità e qualità. Con quei due li davanti può mettere in difficoltà qualsiasi avversario, e per questo che posso affermare che il Napoli è pronto ad occupare un posto in Champoins che da tanti anni manca, anche se per lo scudetto credo che ancora non è precluso nulla.

Facciamo un gioco, se dovessi essere un consulente del Direttore Sportivo, quali giocatori metteresti in lista di uscita e quali in entrata? Per quello che concerne i consigli sul mercato, non credo di avere la capacità di dire chi e quali siano i giocatori che possono andar via, spero solo che la società riesca a fare qualche sforzo a centrocampo reparto questo che ha bisogno di fisicità e centimetri.


Hai mai avuto contatti in passato, per un tuo trasferimento a Napoli?

Non ho mai avuto contatti con il Napoli ,se non quando ero ragazzino e giocavo nelle giovanili dell’Ischia, ma siccome avevo 16 anni e già ero in pianta stabile in prima squadra il presidente di allora, Roberto Fiore, non volle il passaggio.

Nella tua prima stagione in serie A (1997/1998) hai messo a segno 6 reti in 23 presente, quindi un grande impatto con il calcio che conta. i tifosi dell’Empoli ti inneggiavano a loro campione: “Martusciello è meglio di Del Piero”. Avresti rinunciato all’affetto dei tifosi per giocare in una delle tre grandi?

La mia prima esperienza in A con l’Empoli fu meravigliosa per certi versi, vedi gol fatti ,ma un pò sfortunata, nel momento migliore con occhi puntati da grandi club (Juve,Roma,Fiorentina), ebbi un infortunio alla caviglia (frattura) che mi chiuse le porte alla possibilità di vestire una maglia più blasonata. Con molta difficoltà credo che, avrei accettato un’altra proposta.

Perché c’è un legame speciale tra l’Empoli e i calciatori campani (te, Montella, Carmine Esposito e per ultimo Antonio Di Natale)? Come mai riescono ad affermarsi sempre lontano dalla loro terra, c’è qualcosa che non funziona nell’organizzazione delle giovanili delle società campane?

Ad Empoli si vive bene, la gente è molto ospitale, cittadina equilibrata nei modi e nei giudizi. Per questo credo che i giovani nel vestire la maglia delll’Empoli non subiscono alcunn tipo di pressione. Forse è questo il motivo che ragazzi del sud qui fanno la differenza. Per quanto riguarda Antonio Di Natale, mi ricordo la vigilia della sua prima da titolare in B contro la Sampdoria. In quell’occasione io ero capitano, lo guardai e gli dissi: “Totò ad ogni gol che farai ci sarà uno zero in più sul contratto l’anno prossimo”. Lui mi rispose, con il suo impeccabile accento napoletano: “Giuà già è tanto che gioco e tu mi vuoi fare far gol”. La partita finì 1 a 0 per noi con gol di Totò.

Nella tua carriera, sei stato prima compagno di squadra e poi sei stato allenato da Luciano Spalletti. Che ricordi hai di Spalletti, oggi uno dei tecnici più apprezzati nel mondo?

Il rapporto che ho con Luciano ora va al di là del calcio, come giocatore era un po’ come me grande fisicità, molto dinamico, gran lottatore. Un interno di centrocampo con ottimi tempi nell’inserimento e di una generosità che lo faceva essere un vero leader. Come allenatore agl’inizi, ovviamente, si era molto complici e all’interno del gruppo questo non era di intralcio. Quest’aspetto portava ad essere la figura dell’allenatore molto leggera. Sotto il profilo puramente tattico, le idee che ha portato a Roma, già le proponeva ad Empoli, dove il sottoscritto da mediano di fatica divenne il ”Totti” della situazione, ovviamente non a livello tecnico!

Ci puoi raccontare qualche piccolo aneddoto sullo Spalletti allenatore?

Ti racconto questa. Fine ritiro estivo in un ostello a Montaione, dopo l’ultima amichevole contro il Siena, la squadra ebbe 3 giorni di festa. Io no, perché ero stato acquistato dall’Empoli pochi giorni prima per cui fui costretto a rimanere. Siccome ero solo in albergo, Spalletti un pomeriggio si presenta in camera e mi dice “dai stasera sei a cena da me prendi le tue cose che prima ti devo fare vedere una cosa”. Ci si mette in macchina e dopo una 20 o 30 minuti, arriviamo su di una collina dove c’era un rudere. Entriamo all’interno e Luciano si rivolge a me dicendo: ”vedi Giò questo rudere è mio, mi devi portare in A”. Detto fatto! Dopo 3 anni ecco la serie A, quel rudere è diventata una villa eccezionale!

Hai conosciuto anche un giovanissimo Vincenzo Montella, ora è allenatore della Roma, cosa ne pensi della sua avventura in una panchina rovente come quella capitolina?

Su Montella non si può far altro che apprezzare quello che lui è riuscito precocemente a fare come calciatore e che come allenatore sicuramente visto la sua grande personalità può eguagliare.

Dall’1988 fino al 1995 sei stato giocatore dell’Ischia Isolaverde, bella realtà del calcio campano nella gloriosa serie C1. Perché secondo te la società isolana non è riuscita più a tornare nei ranghi che la competono? Un giorno ti piacerebbe tornare da allenatore e riportarla in auge?

Il calcio è cambiato non solo nelle regole tecniche, ma soprattutto in quelle di gestione, società di calcio come l’Ischia gestite, a carattere familiare o solo per passione, attualmente fanno fatica a riemergere. Io ho avuto una grande fortuna ad iniziare in ”C”, questo mi ha agevolato maturando esperienza e fortificando una personalità che in categoria superiore fa la differenza.


Ultima domanda, tutti gli anni passati in terza serie ti hanno aiutato di più psicologicamente o fisicamente ad affrontare i campionati di livello superiore? Perché secondo i calciatori di Prima divisione non trovano spazio in Serie A?

Oggi credo sia più difficile fare il salto di categoria, troppi giovani non pronti affrontano campionati difficili e fanno fatica ad emergere, e credimi la qualità di gioco si è abbassata di tanto creando una frattura evidente tra le categorie e tutto ciò rende difficile che questi ragazzi possano emergere.

Volevo ringraziare pubblicamente Giovanni Martusciello per la sua immensa disponibilità, in particolare la sua gentilezza, perchè è stata la prova che “il prossimo” ti è “amico” e non un semplice estraneo.

Alessandro D’Auria

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