Coraggio Napoli, impara a volerti bene

Tre sconfitte nelle ultime quattro gare ufficiali. Tra le ceneri dell’incendio doloso di martedì sera, sono queste le certezze rimaste. La rabbia accecante contro l’arbitraggio di Valeri si attenuerà col tempo, specialmente con i tanti impegni ravvicinati. I difetti di fabbrica del Napoli di Sarri, invece, restano tali.  Ed è solo lì che si può lavorare. Con una parabola comunicativa dal post-Madrid al post-Torino che sembra disegnata dal destro di Insigne. Il passo indietro di De Laurentiis, sottinteso e malcelato, è cemento a presa rapida sull’unità del gruppo e di un intero ambiente.

Facciamo un po’ d’ordine. Critiche e tweet al veleno l’hanno fatta da padroni nelle ultime ore, arrivando persino a mistificare la realtà. Rigore sì, rigore no, “vergogna” lanciati a destra e a manca, moviole pilotate. Ormai avrete sentito il parere in merito anche da un ex gondoliere con licenza per gelataio. La parte sana di questo nuvolo di invettive non si attacca all’episodio singolo urlando allo scandalo (a quello ci ha pensato il Mundo Deportivo). La scintilla che scatena l’ormai solito pandemonio è la gestione del dubbio. Ogni qualvolta si verificano situazioni incerte sul piano regolamentare, l’asticella si abbatte per inerzia sui colori bianconeri. Quei 30 secondi a rischio ictus cerebrale dal possibile 2-2 al 3-1 ne sono la testimonianza evidente: nessuno dei due falli sembra chiarissimo, ma stranamente la Vecchia Signora non ci rimette mai. Se a questo si aggiungono replay mai mostrati, figli di una regia occulta, la dietrologia si alimenta quasi automaticamente.  È su questo meccanismo perverso che la classe arbitrale perde credibilità, non certo su una svista umanamente tollerabile.

Detto ciò, gli azzurri si sono sbriciolati allo Stadium ancor prima dell’impatto con l’iceberg in maglia gialla. Il buon Napoli dei primi 45’ si è infranto contro le sue proverbiali incertezze e contro l’incapacità di adattarsi ai cambiamenti d’umore all’interno di una gara. Chiudere avanti il primo tempo in quello stadio è impresa riuscita a pochi finora. Al ritorno in campo questo privilegio si doveva difendere con le unghie. E invece solo 40 secondi sono bastati per assistere al primo harakiri, addirittura da una rimessa laterale; poi l’incomprensione Reina-Koulibaly (quante ne abbiamo contestate ad entrambi) e il cadeau al fintissimo Higuain è servito. E il contestatissimo penalty del 3-1, non dimentichiamolo, parte da quell’assurdo contropiede in due contro uno su un calcio d’angolo a nostro favore. Mancavano ancora 20’ alla fine e il 2-1 non era risultato da gettare alle ortiche. 44 reti al passivo sono un’enormità inammissibile per certi traguardi. Molti subiti a difesa schierata e in seguito a clamorose amnesie. Non solo. La conferma, nella ripresa contro la Juventus, di un Napoli improvvisamente timoroso e remissivo quando la partita prende una piega più fisica ed emotiva. Con le medio-piccole (vedi Chievo) si finisce per reggere l’urto, con squadre più attrezzate si finisce per debordare. Al solo pensiero di giocarci entrambe le coppe inseguendo un 2-0, ho un brivido gelido lungo la schiena.

Non è un periodo facile, insomma. Approcci sbagliati, errori marchiani e prestazioni altalenanti hanno smorzato gli entusiasmi della piazza. Fuori dal campo, dopo le parole al vetriolo del presidente a Madrid, forse è andata anche peggio. Quel silenzio stampa ha coperto di pericolose dicerie rapporti già da sempre considerati non idilliaci. Ieri sera, il cinguettio frontale alla Rai e l’apparizione improvvisa di Reina e Giuntoli ai microfoni, potrebbero essere la svolta. Non per i toni, anzi quelli andavano oggettivamente evitati. Ma per la volontà di deviare l’attenzione dei media e ridurre così le polemiche intorno ad una squadra già frastornata. La protezione dall’esterno attraverso il contrattacco, oltre ad essere una mossa napoleonica, sarebbe una sorta di mea culpa del patron dopo il marasma del 14 febbraio scorso. I panni sporchi si lavano in casa, invece ora bisogna fare quadrato intorno ai calciatori e recintarli.  Perdere il senno in questa fase delicata non è concesso. Roma e Real saranno lo spartiacque decisivo. Meglio raccogliersi tutti sulla stessa sponda.

Ivan De Vita

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