Napoli, dal 9 dorato al “nueve pezzotto”

Spuntata. Una matita nuova di zecca ma improvvisamente senza mine. Come fosse un’improvvisa maledizione, il Napoli di Sarri ha assistito ad una sorprendente diaspora dei suoi numeri 9.  Dai 36 gol da record del maggio scorso ad un’estate tribolata, prima di riassaporarne i lineamenti ad inizio campionato e perderne, da domenica pomeriggio, definitivamente le tracce. Proprio sette giorni prima di rincontrare il latitante, il fuggitivo di una notte di mezz’estate. Insomma, un malinconico scherzo del fato. Ci è rimasto il pezzotto. Ma questa città insegna come spesso possa funzionare meglio dell’originale.

Quagliarella, Cavani, Higuain. Prima ancora persino Sosa e Calaiò ai tempi della B. Il Napoli di De Laurentiis si è sempre presentato a Torino facendo affidamento sul suo centravanti, in misura sempre maggiore negli ultimi anni. Perché, ovviamente, pian piano l’asticella si è alzata e da mera comparsa gli azzurri sono diventati un’autentica contendente per la vittoria dello scudetto. Con conseguente e doveroso rispetto per i suoi puntero con dozzine di gol in cascina. Eppure, sarà l’eccessiva pressione sugli uomini d’attacco o il carico di responsabilità patito dalla squadra per una sfida tanto sentita, sta di fatto che i partenopei l’hanno puntualmente steccata. Tra appena quattro giorni, la sceneggiatura di questo classico del calcio italiano subirà leggere modifiche. Milik infortunato, Gabbiadini fuori per via delle sue crisi d’identità: allo Juventus Stadium nessun numero 9 vestirà d’azzurro. Sarà in campo ma avrà addosso le strisce bianco e nere. Buio, intrappolato in due non-colori, mentre è sempre apparso ai nostri occhi con sfumature dorate. Il rischio, o forse l’inganno, è un clamoroso scambio di persona. Invece no. Aprirà le fauci pronto a divorare ciò che ha difeso per mesi con le unghie e con i denti (e con i cartellini rossi, talvolta). Quest’immagine da agnello sacrificale, tuttavia, sembra starci un po’ stretta.

La spavalderia di qualche mese fa, occorre ammetterlo, ha lasciato spazio al frastuono delle sterili polemiche. L’errore è farsi trascinare in un burrone che non ci attende. Con lucidità e raziocinio, basta tenere ben salde le proprie certezze. Una, innanzitutto. Dries Mertens. Figlio adottivo di questa città, dalla quale ha attinto amore ed abitudini. Da scugnizzo a pezzotto. O falso nueve, per dirla in gergo calcistico. Non uno che di mestiere fa il goleador, ma nemmeno il calzolaio per nostra fortuna. Insomma l’uomo che incarna perfettamente l’arte di arrangiarsi dei napoletani, la capacità di rinsaldarsi davanti alle difficoltà e divincolarsi con astuzia ed ingegno. Chi se non lui per non far rimpiangere le prime punte strappate via dalla malasorte?  Chi se non lui, non solo per le indiscusse qualità tecniche. Per la tenacia, la voglia di non arrendersi mai, di sfidare gli dei dell’Olimpo a testa bassa e senza timori reverenziali. Non basterà da solo, certo. Sarà lui però il perno attorno a cui ruoteranno le nostre speranze di invertire un destino che pare a molti già scritto. In anticipo, direi, troppo in anticipo. Raggirare legalmente è uno stereotipo che stupirà gli amanti del genere, persino lassù dove li coniano da tempo immemore.

Fermi tutti. Perdonate il triplo carpiato. Mi sono lasciato catturare da corsi, ricorsi e particolari coincidenze. Ma prima di proiettarci a sabato sera, il treno della rinascita passa dai Campi Flegrei. Dall’Empoli, per l’esattezza. E anche i toscani con i numeri 9, o più in generale con i gol all’attivo, se la passano maluccio. Anzi, parliamo di un vero disastro se nelle prime nove giornate sono solo due le reti segnate. Il peggior reparto avanzato di tutti i campionati europei. Una manna verrebbe da dire, se si pensa alle sofferenze difensive del Napoli attuale. Tamponare quest’emorragia è il primo mattone verso la ricostruzione del proprio io. Mettere al bando ogni frenesia, resettare definitivamente le topiche sopportate finora. Ritrovare la compattezza e l’abnegazione del pacchetto arretrato versione 2015/16. L’originale, però, non il pezzotto.

Ivan De Vita

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