Hamsik, cento e lode: chi è stato e chi è oggi il capitano del Napoli

Un fendente imprendibile, un sinistro di rara precisione, un gol da manuale del calcio. Meravigliosamente, incredibilmente, fantasticamente Hamsik, direbbe qualcuno e non si sbaglierebbe. La sensazione però è sempre la stessa: aggettivi e avverbi si sprecano tutti. Poi la gioia, la corsa verso l’infinito, abbracciato dai compagni e, idealmente dagli spalti, da quei tifosi che lo idolatrano da quasi dieci anni e che lo hanno eletto incontestabilmente idolo e simbolo di una squadra, di un gruppo, parte di una storia. Altri cento, di questi Hamsik. Perché contro il Chievo il capitano, è bene ripeterlo, slovacco solo per caso, ha ribadito ancora una volta che è lui il passato, il presente, il futuro del nuovo Napoli. E Maradona, già staccato per gol in campionato, è lì, a solo quindici marcature. Diego resta e resterà nella sua intoccabile nicchia, nel cuore di Napoli, ma forse un posto al suo fianco si può liberare.

Quinto marcatore di tutti i tempi, con ottantatré marcature in A, quattro in Coppa Italia, tredici totali tra Europa e Champions League: semplicemente storia. Ma Marek Hamsik è molto di più e nel suo gol di ieri, nella sua esultanza, c’è tutto quanto vissuto in maglia azzurra in questi anni. Dall’arrivo alla consacrazione passando per le gestioni, diverse e differenti, di cinque tecnici (Reja, Donadoni, Mazzarri, Benitez, ora Sarri, n.d.r), Hamsik è sempre stato lì, a volte fuori ruolo, altre volte meravigliosamente al posto suo, altre volte ancora giocando più avanti, improvvisandosi goleador, lui, che sulla carta dovrebbe essere centrocampista ma, de facto, è uomo squadra a tutto campo, linea di congiunzione tra la difesa e l’attacco, punto cardinale del gioco.

Chi è stato Marek Hamsik? Il ragazzino imbarazzato, giunto nel silenzio. È stata intuizione, fiuto per il talento. Poi è stato colpo di fulmine, amore, matrimonio. È stato pure un “quasi” amante, quando da Milano qualcuno provava a portarlo via dalla sua città. È stato poi certezza, ulteriore, quando ha ribadito amore alla causa azzurra. È stato gol, soprattutto quello: cento, dalla Sampdoria, nel 2007, a ieri, in un turbinio immenso di emozioni e gioia. È stato un gol, anzi due, alla Juve, nella presa di Torino nell’ottobre del 2009. Poi il Palermo, il Bologna, la Roma: le vittime preferite. È stato due Coppe Italia, tre qualificazioni in Champions League. Poi il gol, tra gli altri, al Villarreal, che gioia.  È stato sapiente orchestratosito3re, alle spalle di Lavezzi, Cavani, Higuain: tutti poi partiti, lui no. È stato presenze, tante, sempre in campo: con Reja, il primo padre, con Mazzarri, il primo che lo ha esaltato. È stato da un lato “già”, dall’altro “ancora”. Anche quando le contingenze stavano per portarlo via: non era il Milan, quella volta, ma la consapevolezza di non potersi esprimere nei dettami tattici di un Benitez che forse non lo ha mai amato più di tanto e, sicuramente, mai considerato leader. Ingombrante, la sua presenza nello spogliatoio.

Oggi invece Hamsik non è più il ragazzino spaurito di un tempo, ma un uomo, consapevole dei propri pregi, altrettanto dei propri difetti. È leader, punto di appoggio, giocatore cui guardare sempre, dal campo, dalla panchina e dagli spalti. Poi è capitano, l’unico ad oggi capace di ribaltare la cabala napoletana: il diciassette portava sfortuna dieci anni fa. Oggi no, è provvidenza, è gol, è presenze, è storia. Oggi è cento: e l’opera è solo a metà. Nei prossimi cento gol del Napoli lui ci sarà comunque. E siamo sicuri di una cosa: novantanove gol fa, nessuno avrebbe creduto che oggi staremmo ancora parlando di quel ragazzo venuto da così lontano eppure tanto napoletano quanto ognuno di noi. Meravigliosamente, incredibilmente, fantasticamente Marek Hamsik. 

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