Da Sarri a MasSarri, evoluzione davvero inevitabile?

Sembra un flashback, uno di quei momenti letti o visti alla tv in cui il protagonista ripensa al proprio passato. O un déjà-vu, la sensazione da “già capitato” che ti coglie alla sprovvista. O ancora un fantasma, che si aggira tra i campi di Castel Volturno e tra le mura della sala stampa. In definitiva è un ricordo lontano, una reminiscenza che a tre anni di distanza rivive in quest’ambiente tanto legato al passato che è Napoli. Il ricordo in questione porta il nome di Walter Mazzarri. Nome controverso, il suo. Innegabili i ricordi positivi legati all’exploit di quel Napoli. Quattro anni di storici traguardi, con la Coppa Italia sollevata al cielo nel 2012 come ciliegina sulla torta. Altrettanto innegabile, però, è il dolore provocato dal passaggio all’Inter dopo la mezza promessa di un anno sabbatico.

Sono arrivati, poi, gli spagnoli: è arrivato Rafa, con quell’aria da partenopeo acquisito e con quel “Chiamatemi Rafè” che aveva fatto ben sperare. Due anni altrettanto controversi. Poi, ancora, Sarri. O forse MasSARRI. Perché fa discutere per certi versi la trasformazione subita dal tecnico un po’ partenopeo ed un po’ toscano. Ed a tratti sembra di rivivere il quadrienno firmato Mazzarri. Non per i concetti di gioco, sia chiaro: quelli sono completamente agli antipodi. Il 3-5-2 Mazzarriano non ha nulla in comune con il 4-3-3 di Sarri. E i principi di fondo? No, neppure quelli. Il contropiede da un lato, il possesso prolungato dall’altra. Eppure. Già, eppure. Così lontani eppure così vicini, così diversi e al tempo stesso così simili. Questione di… pretesti. O di scusanti, volendo. Quelle che da qualche tempo a questa parte Sarri mescola davanti ai microfoni alle svariate perle di saggezza. Il calendario, l’orario delle partite, gli impegni delle nazionali ed il pallone invernale sono solo alcune vittime dei suoi attacchi. Problematiche di cui soffre la stragrande maggioranza degli allenatori sulla faccia della terra. sarri conferenza

Il tutto marca una linea nettissima tra il passato relativamente recente, quello beniteziano, ed il presente che rivanga i tempi di un passato lontano da cui il Napoli avrebbe dovuto staccarsi per iniziare un ciclo. L’accento è comune a entrambi, gli attacchi al sistema calcio pure, il modo di giocarlo – il calcio – no. Sarri si è rivelato allenatore di mondo, il suo calcio propositivo e all’avanguardia ha stupito, quindi non sarà un crimine ammettere che quest’uomo, figlio della gavetta sui campi di periferia, è più preparato del suo pre-pre-decessore. Talvolta, però, un po’ di elasticità non guasterebbe in questo mondo votato al compromesso. Il calendario vede impegnato il Napoli 6 volte in 18 giorni? Beh, la Champions comporta qualche sacrificio in più. Lamentarsene non farà cambiare le cose. Il turnover, invece, sì. Sarri deve imparare a conviverci se vuole realmente vivere atmosfere di respiro internazionale. Il mercato ha fornito valide alternative, eppure quel “non so se abbiamo due squadre” fa storcere il naso e lascia presagire uno scenario ben diverso dalla rotazione necessaria.

No, così non andrebbe bene: Sarri deve adattarsi. Perché Guardiola, Simeone, Ancelotti e gli altri top manager convivono ogni stagione con questa “problematica” e sopravvivono grazie a rose ampie. Il Napoli, con debite e dovute proporzioni, ne ha una. Per restare ad alti livelli, bisogna saperci convivere con il turnover. Altrimenti si rischia di gettare al vento i concetti all’avanguardia e scadere in un Mazzarri bis. O in un… MasSARRI.

Vittorio Perrone
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