I numeri non mentono: negli scontri diretti il Napoli ha cambiato pelle. Il motivo? Semplice

Secondo posto a rischio. Il Napoli perde 1-0 contro la Roma all’Olimpico, il goal di Nainggolan regala non solo i tre punti alla squadra di casa ma addirittura un’insperata possibilità di poter accedere alla fase a gironi della Champions League senza passare per il turno preliminare. Se i punti di distacco fino a poco tempo fa erano tra i sette e i nove ora sono solamente due, dato poco sorprendente visto che gli azzurri tra campionato e coppa hanno vinto solo cinque delle ultime tredici partite, una media da squadra di bassa classifica insomma.

Torino e Roma. Quello che colpisce però è la modalità attraverso la quale questa sconfitta si è manifestata, i giallorossi nell’intero secondo tempo non sono mai stati pericolosi tirando nello specchio della porta unicamente al minuto 44 proprio quando Radja Nainggolan ha raccolto l’assist di Salah e spedito in rete il pallone. In fondo destino poco differente di quello affrontato a Torino contro la Juventus dove un tiro di Simone Zaza ha regalato tre punti alla squadra che ora ha vinto il campionato (per la quinta volta di fila) con tre giornate di anticipo. Anche in questo caso allo Juventus Stadium i padroni di casa avevano creato ben pochi problemi alla squadra di Sarri ma questo non è bastato per evitare la sconfitta e il conseguente sorpasso in classifica. Colpa delle differenze qualitative nell’organico o della scarsa condizione fisica del Napoli? I numeri non sembrano confermare ciò, il Napoli è apparso in entrambe le partite debole non nel fisico bensì nella mente, è stato il suo atteggiamento remissivo e pauroso a concorrere attivamente nella disfatta e non la superiorità del gioco avversario. I partenopei hanno perso perché hanno avuto l’ordine di non attaccare, di stare tranquilli e aspettare che si presentasse in un qualche momento non definito un’occasione giusta, tipica mentalità da squadra da salvezza e non da squadra che vuole dominare il gioco e vincere (oggi la partita domani una coppa o uno scudetto).

Maurizio Sarri

I numeri. Le statistiche delle partite di Torino e Roma mostrano chiaramente il differente atteggiamento azzurro contro questi due club, il Napoli ha la media possesso palla più alta dell’intera Serie A TIM insieme con la Fiorentina (oltre il 60%) e una media di tiri in porta per match che varia tra i 7 e i 9. Contro Juventus e Roma questi numeri sono stati completamente stravolti e non certo per la grande pressione effettuata dagli avversari (i bianconeri hanno effettuato tre tiri in porta in tutta la sfida e la squadra capitolina solo due) bensì per l’atteggiamento rinunciatario dei partenopei. Spinti più dal timore di farsi male che dalla voglia di vincere non hanno sfruttato un avversario realmente impaurito che non ha mai imposto il proprio gioco, che non ha mai attaccato in massa e che, soprattutto, ha tirato pochissimo in porta. Il Napoli di Sarri in entrambi i casi è stato lento nella manovra preoccupandosi più di coprirsi che di sfruttare la remissività avversaria, in entrambi i match non ha mai superato il 56% di possesso palla e i tiri in porta sono stati davvero pochissimi (1 contro la Juventus e 4 contro la Roma) nonostante il pressing avversario fosse tutt’altro che aggressivo.

Sarri e la mentalità vincente. Nessuno ha intenzione di negare i meriti di Sarri e i grandi numeri che il mister napoletano ha consegnato ai tifosi in questa stagione, nonostante fosse al suo primo anno in azzurro e sia stato “costretto” a cambiare modulo passando dal 4-3-1-2 al 4-3-3 per migliorare le prestazioni del collettivo, ha ottenuto risultati ben maggiori di quello che si potesse sperare: qualificazione in Champions League, difesa assolutamente migliorata rispetto allo scorso anno senza contare l’imbattibilità tra le mura del San Paolo e la possibilità di ottenere il record di punti in Serie A superando Benitez. Bisogna però anche riconoscere che rispetto al suo collega, Massimiliano Allegri, Sarri ha molta meno esperienza in squadre di alta classifica che hanno l’obiettivo assoluto di vincere e che devono preparare ogni sfida con l’obbligo morale e materiale di ottenere i tre punti. Se la squadra non scende in campo con la voglia di dominare e portare sempre a casa i tre punti, significa che manca la mentalità vincente, quella mentalità che solo un allenatore che ha allenato grandi club (e vinto in quei club) può infondere alla squadra. Non si possono negare i limiti che nei momenti decisivi sono stati sotto gli occhi di tutti (la sconfitta 3-1 con l’Udinese, il pareggio in casa col Milan, la sconfitta 3-2 contro il Bologna o il pareggio a reti inviolate contro il Carpi ad esempio). Certo senza dimenticare che se il mercato di gennaio avesse portato qualche innesto di qualità forse oggi staremo raccontando una storia diversa.

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