Il rigore di Gabbiadini è l’ultima immagine di un gruppo solidissimo. Ma così i rimpianti aumentano…

C’è da odiarlo, il destino. C’è da odiarlo soprattutto quand’è così beffardo, inafferrabile, incredibilmente ingiusto. È che ti prepara al grande salto, con fortune annesse e connesse. E poi? Ne ride fragorosamente, quasi prendendoti in giro per aver sognato troppo in grande. Habitué partenopeo, vero. Ma almeno stavolta, per una sola volta, il verso sembrava quello da percorrere, la direzione solo da intraprendere. Invece, c’è da odiarlo, il destino. Anche oggi, ancor più domani.

mertens reina applausi

L’IMMAGINE – Gabbiadini, col Bologna, ha solo riaperto una ferita orribilmente dolorosa, una di quelle impossibili da rimarginare del tutto. Che quest’anno, volenti o nolenti, bisognava portar qualcosa sulla via di ritorno verso Castel Volturno. Troppi miglioramenti, mille lodi – giustificate -, gioco spumeggiante: ogni elemento è una coltellata dritta ai ricordi. E la stessa immagine del bergamasco sul dischetto, quando in campo vi erano ben due rigoristi di squadra, diventa allora nuovamente emblematica: oltre al campo, c’era pure il resto. Come il gruppo, come l’amalgama necessaria per trionfare. Come un grande club che si ritrova sotto la guida – un po’ spirituale – del suo santone e del suo leader. Come un unico team, con i suoi dettami, con i propri obiettivi, con un talento smisurato per andare a strapparli agli avversari.

SE E MA – Sì, i rimpianti aumentano. Ma non contano certo i sei gol rifilati ad uno spento Bologna. E nemmeno le ultime magie firmate Mertens, o i ‘se avesse giocato di più Gabbiadini’. No, la gestione è stata oculata, ponderata, quindi indovinata. Certo, resta il fatto che abbia vinto la rosa più lunga e qualitativamente migliore. Però l’amaro diventa tanto pesante per i mille altri fattori che hanno aiutato gli azzurri: a partire dai pochi, pochissimi infortuni muscolari subiti in stagione. Ecco: un peccato non aver vinto. Un peccato non aver reso merito ad uno staff incredibile, ad un allenatore infinitamente saggio, ad un parco attaccanti tra i migliori d’Europa. E pure a lui, certo: a Gonzalo. Trenta gol e niente in mano: a qualcuno ne basterà qualcuno in meno, probabilmente neanche la metà. C’è da odiarlo, il destino.

Cristiano Corbo

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