Qui fu Napoli: Ruud Krol, l’ultimo re del Napoli Avanti Diego

“Chiriches ha fatto un errore, ma è anche responsabilità mia. Facciamo le partitine per abituarci a non rinviare, a non buttare il pallone, e se rinvii prendi rigore contro. Portiamo i difensori a giocare addirittura 100 palloni a partita, può capitare la palla persa anche se doveva smistarla prima”. Non hanno destato adito a dubbi le dichiarazioni nel dopo gara di sabato a firma Maurizio Sarri sull’errore di Vlad Chiriches, ininfluente ai fini del risultato. Parte integrante nell’idea del tecnico azzurro è l’avere nella retroguardia la prima fonte di gioco, fondamenta di un credo che affida la propria essenza nel fraseggio ragionato, ricercato, a tratti ossessivo. Ovvio che i centrali attingano a pieno al proprio bagaglio tecnico e, nel caso difetti la concentrazione, l’errore può essere dietro l’angolo. La storia partenopea annovera difensori di primissimo spessore, campioni assoluti a tutti livelli, ma in quanto a classe e proprietà tecniche, un atleta non aveva uguali. Lui, la palla, non la buttava mai, questione di indole, etica, filosofia, costituzione. Ogni riferimento è a Ruud Krol, simbolo del calcio olandese che incantava il globo a cavallo degli anni settanta, il Divino in riva al Golfo.

Il calcio totale e Arancia Meccanica. E’ l’annata 1968-69. L’America ancora sanguina dopo gli attentati che hanno colpito al cuore l’essenza stessa di un gigante alla ricerca del cambiamento, del sogno, con le morti di Bob Kennedy e Marthin Luther King. In Europa la rivoluzione pop dei Beatles si avvicina ai titoli di coda ed in Olanda il calcio sta vivendo una mutazione travolgente, giungendo ad un punto di non ritorno. L’epopea dell’Ajax di Rinus Michels è pronta a varcare i confini. Il calcio totale, la fluidità di un undici compatto e dedito alla doppia fase, l’immaginifico nel calcio del tempo. Intensità, sempre, comunque. E ricerca del nirvana tecnico, un germoglio cresciuto sotto le sapienti cure del maestro olandese, pronto a raccogliere i suoi frutti dopo i trionfi in patria. Al termine di quella stagione la prima finale di Coppa Campioni, dall’epilogo amaro, una lezione da parte del Milan del Paròn Nereo Rocco che nella terra dei tulipani servì a chiudere il cerchio. Quell’anno, portato in prima squadra da Michels, esordiva Krol, destinato a scrivere le pagine pagine indelebili della storia dei lancieri. Quello che tra metà campo e attacco rappresentavano il genio di Cruijff ed il trascinante dinamismo di Neeskens, era trasposto sulle catene laterali con Krol e Suurbier, Snabbel en Babbel, Cip&Ciop, l’ossessione per chiunque osasse calcare la loro zolla. Difensore straordinario, Krol, tra i migliori d’ogni tempo, sangue freddo e carisma immenso. Terzino sinistro devastante in ogni fondamentale: rapido e fisicamente imponente – 184 cm – impressionante nei tempi d’anticipo ed instancabile in marcatura. Tecnicamente infinito, destro elegante e mancino che anticipava l’innovazione, in grado di scorgere qualsiasi angolazione, sbeffeggiando ogni regola. Ben 378 presenze e 29 reti con un palmarès da antologia. Sei campionati olandesi, quattro Coppe d’Olanda, 3 Coppe dei Campioni – il primo trionfo, contro il Panathinaikos, osservando la finale in disparte a causa di un grave infortunio – con due italiane, Inter e Juventus, stavolta come vittime sacrificali. Bacheca smisurata, impreziosita da una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa UEFA. Tutto. Protagonista anche in salsa oranje, nell’Olanda, con Michels alla guida dopo la parentesi al Barcellona, quella dell’Arancia Meccanica che incantò il mondo ma si fermò due volte ad un passo dal trionfo. Un treno in piena corsa fino alla frenata d’emergenza alla penultima stazione, Mondiali 1974 e ’78, in finale, a Monaco di Bavera prima e Buenos Aires poi contro i padroni di casa. Tanti gli altari con il proprio club, tanta la polvere con la propria Nazionale, le due facce della vita in una carriera folgorante che a titolo individuale ha da annoverare anche un terzo posto nella graduatoria del Pallone d’Oro 1979.

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Krol, nella finale di Monaco di Baviera

L’intuizione e l’illusione. Ventisei anni con la stessa maglia, dalla trafila delle giovanili fino al tetto del mondo, capitano dal 1975. Un’avventura conclusa a 31 anni, nel 1980. Un colpo di spugna direzione Vancouver, presso gli opulenti lidi della North American Soccer League. Un’esperienza flebile come un battito d’ali, 16 presenze prima dei saluti. A fare da sfondo al ripensamento, la pressione, da mastino purosangue dietro la scrivania come in campo, di Antonio Juliano. Tentato dal portare a Napoli il fuoriclasse olandese anche prima dell’approdo in Canada, arrivò l’affondo definitivo in seconda battuta con il placet, inizialmente negato, dell’ingegnere Corrado Ferlaino. Giubilo alle pendici del Vesuvio, 10.000 tifosi partenopei ad accogliere un’icona del calcio pronta a diventare idolo del San Paolo. Così sarà, non un semplice acquisto da vendere alla piazza – sebbene l’impatto economico fu tutt’altro che superficiale, basti guardare alla pioggia di abbonamenti che seguì il colpo di mercato – ma una vera e propria colonna del Napoli di Marchesi. I tempi delle ampie falcate ad arare la fascia ormai sfumati, già in Olanda si era riproposto da centrale con risultati eccellenti, in riva al Golfo la rivisitazione da libero con licenza di difendere ed impostare. Regista difensivo a tutto campo, come nelle corde di chi nel sangue vede scorrere copiosi i crismi del calcio totale, del resto l’intelligenza tattica fuori dall’ordinario lo permetteva, eccome. Un’annata da ricordare, il campionato 1980-81, risultati oltre le più rosee aspettative, con Krol guida e leader del gruppo, di un intero popolo; ad incantare con giocate che in città sfidarono sacro e profano. Ed il politicamente corretto, alla storia lo slogan dei contrari all’aborto a tappezzare la città: “Tifoso che voti, pensaci: e se la madre di Krol avesse abortito?“. La rincorsa sorprendente sulla scia delle favorite Juventus e Roma, il primo e unico goal in azzurro dell’olandese decisivo, a tempo quasi scaduto, contro il Brescia al San Paolo alla 24a. La vittoria corsara al Comunale contro il Torino la giornata successiva. La vetta raggiunta, maestosa, appaiati alle due dirette avversarie, tutti a 35 punti. Un’illusione che durò un respiro, strozzato nella beffa la domenica successiva contro il Perugia già retrocesso. Uno 0-1 infido, marchiato dalla sfortunata autorete di Ferrario. Di lì lo scoramento ed un campionato concluso con un onorevole terzo posto. Degna di nota anche la stagione successiva, conclusa con una quarta posizione, meno le due successive, complici i continui avvicendamenti tecnici in panchina e i tanti infortuni ad attanagliarne la condizione fisica. Il 1984 l’anno dell’addio, l’ultimo re in riva al Golfo prima dell’evento che cambiò la storia del calcio a Napoli abdicava, trasferendosi al Cannes dopo 125 presenze in azzurro.

Edoardo Brancaccio
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