E’ solo una partita. O forse no

Divise da una manciata di ore. Un’agonia atrofizzante che per fortuna sta volgendo al termine. Alle soglie di Juventus-Napoli siamo assaliti da ricordi e lacrime, sogni e paure. Perchè non è mai una gara qualunque. Una rivalità che graffia le pagine di storia, che ha sempre lasciato il segno. Una rivalità che torna ad accendersi per traguardi nobili. Ma non sarà l’ultima battaglia. Le nostre cavalcate verso i tricolore maradoniani ne sono un’eloquente testimonianza.

“Mi raccomando”, è la tipica frase sussurrata dai tifosi che incontrano i calciatori per le vie della città prima di affrontare i bianconeri. E’ quanto dichiarato da Fabio Cannavaro, che ha vissuto l’attesa su entrambe le sponde. Chiaramente l’adrenalina è incontrollabile soprattutto in una piazza come Napoli, dove l’asticella delle aspettative si è notevolmente innalzata grazie allo straordinario percorso della squadra di Sarri da settembre ad oggi. Il cambiamento di rotta è proprio lì. Gli addetti ai lavori sembrano attendere questa gara per consacrare un’egemonia Juve mai scalfita nemmeno dall’avvio di stagione disastroso. Torino come una sorta di Waterloo per la banda partenopea, dove tutte le sorprese fanno capolino. Ma noi non siamo lo sparring partner di un nuovo trionfo juventino. Attingiamo il meglio dalla favola Leicester e trasformiamola in realtà tangibile. In campo. Su quel campo.

Perchè lo Stadium è obiettivamente una fossa quasi inespugnabile e purtroppo finora ci siamo sempre sciolti prima ancora di entrarci. Tutte le apparizioni azzurre in quell’impianto si sono tramutate in disfatte, con la netta sensazione di impotenza che ha straziato i tifosi ben oltre il risultato. Un solo gol firmato David Lopez nella gara dello scorso maggio. Un altro harakiri finanche in un match al quale i padroni di casa non avevano nulla da chiedere. E’ dall’atteggiamento che bisogna ripartire. Il Napoli sarriano ha accumulato convinzione e solidità dalle sue stesse idee, dalla consapevolezza nei propri mezzi, dall’entusiasmo crescente e anche dalle batoste (pochissime) ricevute in stile Bologna. Siamo curiosi di testare questo salto di mentalità nel teatro dove chiunque si è inchinato senza combattere. Non snaturare il proprio gioco e imporsi evitando i classici timori reverenziali. Concentrazione massima e aggredire alti, estraniandosi dal contesto ostile. Spaventare l’avversario pluriscudettato e spocchioso, tra le mura amiche. Tutto questo sarebbe già una prima grande vittoria.

Una sfida appassionante tra due squadre che hanno spaccato il campionato a suon di record. Mancano 13 gare dopo questa, però, non va dimenticato. Sabato sera, dunque, non si decreterà nulla. E’ chiaro che un successo del Napoli accrescerebbe gli stimoli in modo esponenziale, mentre si dovrebbero valutare gli strascichi di un’eventuale sconfitta. Proprio un esito negativo, al di là dei cinque punti di distacco, potrebbe arrestare la rincorsa sfrenata della Juventus. D’altro canto, però, i juventini sono più abituati a gestire situazioni simili e conoscono l’antidoto per uscirne. In ogni caso, paradossalmente rispetto al passato, sono proprio loro a rischiare di più. Le dichiarazioni di Buffon (“E’ importante non perdere”) testimoniano come la Vecchia Signora si senta in un bivio di montagna nel bel mezzo di un forte temporale. Sbagliare strada potrebbe rivelarsi fatale.

Andando a spulciare il nostro passato, invece, scopriamo come e perchè una sfida di febbraio non può mai risultare decisiva. Lo facciamo estraendo i momenti topici delle due cavalcate scudetto. Partiamo dalla più significativa, stagione 1989-90. Era l’11 febbraio quando il Napoli primo in classifica fa visita al Milan di Sacchi, diretta concorrente al titolo. All’andata finì 3-0 per gli azzurri. Quel giorno, con lo stesso punteggio, furono Van Basten e compagni ad imporsi, agganciando il Napoli in testa. Debacle pesante, seguita da un’altra a San Siro contro l’Inter, che sancì il sorpasso rossonero. Cosa fare allora, carambolare giù? Quel Napoli insegnò che una sconfitta resta una sconfitta. Risalì la china, aiutato anche da una vittoria proprio sulla Juve e dalla famosa monetina di Bergamo su Alemao. E vinse. Perchè una giornata storta di febbraio non può farti perdere nessuna certezza.

Nel 1986-87, invece, l’iniezione di fiducia agli azzurri fu data proprio da una vittoria in trasferta all’Olimpico di Torino. 3-1 quando le due compagini erano a braccetto in testa alla classifica, un’incredibile dimostrazione di forza nonostante si fosse solo a novembre. Anche lì, nei mesi primaverili, i partenopei caddero a Milano con l’Inter rischiando di vanificare quanto costruito fino ad allora. Ci pensò ancora un’affermazione casalinga sulla Juventus a spianare la strada verso il primo titolo della storia del club.

Tempi remoti, direte. Magari anche un livellamento verso l’alto più evidente rispetto a quanto accade oggi. L’amarcord sottolinea soltanto l’incapacità, vissuta sulla nostra pelle, di un semplice scontro diretto di indirizzare un’intera stagione. Quando poi c’è la Juventus di mezzo, a quanto pare, è di buon auspicio. Fatti i dovuti scongiuri, la tradizione sembra proteggerci anche nel caso di sventurate cadute. Ma gli almanacchi sono sudici e impolverati, necessitano un aggiornamento. E, dopo oltre 30 anni di attesa, la calligrafia pare essere quella adatta.

Ivan De Vita

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