ESCLUSIVA – La favola di Francesco Serafino, l’italiano ex Boca fermato dalla burocrazia: “Mi sarebbe piaciuto tanto giocare nel Napoli, la squadra del cuore di mio padre…”

Quella di Francesco Serafino è una storia molto particolare. Un giovane calciatore giramondo di belle speranze, nato a Rho, provincia di Milano, nel 1997, cresciuto a Fuscaldo, terra natìa dei suoi genitori – un comune di ottomila persone a 50 chilometri da Cosenza -, ma formatosi calcisticamente in Argentina, il luogo più romantico del fútbol, come è chiamato da quelle parti.  Seconda punta veloce, scattante, che sa svariare su tutto il fronte di attacco. Viene considerato sin da piccolo una promessa del calcio italiano.

Presto si trasferisce dal suo paese natale a Reggio Calabria, dove entra nei pulcini della Reggina. Avevo dieci anni e grazie a quell’esperienza cominciai ad assistere alle prime partite in Serie A – racconta Serafino in esclusiva ai microfoni di SpazioNapoli – vivevo tutto come un gioco, anche se non è stato semplice lasciare i miei compagni d’infanzia. Mai, però, avrei immaginato cosa sarebbe successo da lì a poco”.

L’anno dopo, infatti, Francesco conosce una nuova città: Roma. La Capitale. Lì vive un’importante esperienza negli esordienti del club giallorosso. Ma il suo destino gli riserva ancora una sorpresa. È l’ottobre del 2009. Si parte. Questa volta più lontano, in un nuovo continente. Deve seguire suo padre impegnato per lavoro fuori dall’Italia. Un paio di scarpette, una valigia sempre pronta e la voglia di divertirsi ancora con quel pallone. Destinazione: Argentina. Buenos Aires. La sua vita, però, è destinata inesorabilmente a cambiare. A 12 anni mi ritrovai dall’altra parte del mondo. Un’altra lingua, diversa cultura, nuova gente, anzi tantissima gente… un cono urbano di 20 milioni di abitanti e 14 squadre di Serie A nella stessa città. Bellissimo! Pensai. Ma non fu per niente tutto rose e fiori…”, spiega. Ed infatti all’inizio non fu facile. “Vivevo emozioni contrastanti, mi piaceva molto Buenos Aires, ma a volte era difficile intendermi con i nuovi compagni e a scuola era cambiato tutto, dovevo scrivere, leggere e studiare un nuovo programma, in un’altra lingua. Ero un emigrante in terra straniera. L’Argentina, però, è un paese accogliente e pian piano mi sono integrato”.

Inizialmente giocava in due squadre contemporaneamente, il Club Parque Futsal e l’Argentinos Juniors, il club dove è cresciuto Maradona. “Ho capito subito che il calcio da queste parti è una religione, si predilige lo spettacolo in campo e sulle tribune, ma i difensori picchiano molto di più. E questo è il motivo per cui molti attaccanti sudamericani in Europa fanno molto bene. Sono più tutelati dagli arbitri, cosa che qui invece ancora non avviene. Ho cambiato di colpo modo di giocare, dovevo imparare di più a difendere la palla, a mettere il corpo e la tipica “garra”, la grinta che contraddistingue i giocatori argentini. Vivere in questo paese ti cambia per forza. Qui si gioca da qualsiasi parte, dove capita, per strada, nei parchi o in posti impensabili e ci si diverte molto! La tattica nelle giovanili passa in secondo piano, si preferisce sviluppare la tecnica e la personalità”.

Poi il passaggio in un club storico, il River Plate. “Lì ho capito che poteva diventare la mia professione, avevo 13 anni, o perlomeno ho cominciato a quella età a immaginare di diventare un giorno calciatore professionista. Vivevo tutto il giorno nel Monumental, frequentavo la scuola nello stadio, mi allenavo, insomma, respiravo fútbol tutto il giorno. All’epoca facevo il raccattapalle nelle partite del River e durante il primo tempo mi divertivo a palleggiare in mezzo al campo di fronte a sessantamila persone. Emozioni grandissime”.

Dopo due anni, il trasferimento al Boca Juniors, acerrimo nemico del River, ed ex squadra del Pibe de Oro. Il secondo italiano nella storia degli Xeneizes , dopo Nicola Novello, partito nel lontano 1966, come lui da Fuscaldo. “Mi hanno trattato benissimo e ogni cosa curata nei minimi particolari – racconta – un livello di professionalità che nei settori giovanili italiani ancora si fatica a raggiungere. Strutture bellissime ed uno staff meraviglioso. Un’esperienza che resterà per sempre nel mio cuore. La tifoseria, la Bombonera, el mundo Boca è qualcosa di unico. Quando per la prima volta ho palleggiato in quello stadio ho provato una emozione indescrivibile. I più grandi giocatori al mondo era passati di là, uno fra tutti, Diego Armando Maradona. Lui per me è stato il più grande di tutti. È irraggiungibile per ogni calciatore”.

Lo scorso anno la svolta. Arrivano due chiamate dall’Italia: il Napoli ed il Torino. “Fui seguito da entrambe le squadre, ma la società partenopea quando ha vagliato la documentazione richiesta, ha subito capito la difficoltà del tesseramento. Mi sarebbe piaciuto tanto giocare a Napoli – confessa Serafino -, fra l’altro mio padre era uno di quei ragazzini che non si perdeva una partita di Diego e viaggiava tutte le domeniche per vedere il più grande calciatore di sempre. Io amo ascoltare la musica di Pino Daniele, l’anima e il cuore di Napoli. Ho visitato la città, mi sono fermato tre giorni e l’ho trovata bellissima, una piccola Buenos Aires in mezzo al Mediterraneo. Non so se un giorno si presenterà di nuovo la possibilità di approdare sotto l’ombra del Vesuvio, il calcio è come la vita, ti riserva continue sorprese e chissà, mai dire mai…”.

Nel frattempo si era inserito il Torino chiudendo l’operazione. “Sono arrivato lo scorso anno nelle ultime ore del calciomercato invernale. Purtroppo la FIFA non ha abilitato il transfer perché ero ancora minorenne e proveniente da una federazione straniera. Non hanno tenuto conto del fatto che fossi italiano a tutti gli effetti”. E così, dopo quattro mesi di allenamenti, Francesco rifà le valigie: si torna in Sudamerica. “Fu l’unica soluzione, avrei perso l’intero anno senza poter giocare una sola partita ufficiale. Avevano ragione a Napoli”.

Un duro colpo per El Tano – cioè l’italiano, così lo chiamano in Argentina -, che vede sfumare il suo grande sogno: giocare in Serie A. Ma la breve esperienza in granata non è del tutto da dimenticare. “Mi porto dietro la signorilità e la competenza tecnica di mister Ventura. Allenandomi spesso con la prima squadra, ho appreso nozioni tattiche a me prima sconosciute. Ho un bel ricordo dei tifosi del Toro che frequentano il Fila, mi hanno accolto benissimo. Per il resto è stato un periodo buio per il fatto che la burocrazia mi ha impedito di scendere in campo”, spiega.

Il peggio, però, sembra passato. Francesco ha compiuto diciotto anni lo scorso 17 settembre e nessuno può più tarpargli le ali. Ora gioca in Uruguay, all’Huracan di Montevideo. “L’unico mercato aperto dopo il compimento della maggiore età era quello uruguaiano, quindi ho preso l’occasione al volo firmando per l’Huracan che in quei giorni mi aveva cercato. In breve tempo sono riuscito a debuttare in prima squadra”. Il suo futuro è ancora da decifrare, ma le offerte non mancano.Ancora non è chiaro dove giocherò a giugno, ho richieste da club argentini, italiani ed un altro paio europei. Vedrò tutto con calma e deciderò cosa sarà meglio per me”.

E mentre aspetta l’Italia, non dimentica le sue radici. “Sono sempre in contatto con i miei amici dall’Italia e sono tornato a Fuscaldo quattro anni fa, che emozione! Un paesello stupendo. Quest’anno mi piacerebbe incontrare nuovamente amici e parenti. Tifo per il Cosenza, è la squadra della mia provincia e il primo stadio che ho visto in vita mia è proprio il Marulla di Cosenza (ex San Vito, ndr). Avevo cinque anni e mi sembrava il Maracanà”.

Il suo sogno? Giocare con maglia della Nazionale italiana. “Sono italiano, mi sento in parte argentino, parlo più fluido il castellano che la mia lingua madre, ma se arrivasse un giorno una chiamata da una selezione giovanile, attraverserei l’Oceano a nuoto pur di vestire la maglia degli azzurri!”. E chissà che il suo desiderio non possa avverarsi molto presto. Francesco è pronto a ripartire, questa volta senza gli ostacoli della burocrazia.

Andrea Gagliotti (Twitter: @AndreaGagliotti)

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