Roma, i cori, Koulibaly e l’arbitro Irrati: ancora una volta la lezione di civiltà viene da Napoli

Non era una gara facile, ma alla fine si è dimostrata difficile per altro. I soliti, incivili, beceri cori razzisti di una parte dei tifosi della Lazio, contro i napoletani e il povero Kalidou Koulibaly, la cui unica colpa è il colore della pelle, per quelli che a buon diritto possono essere classificati tra gli animali, con il massimo rispetto per quest’ultimi.

“Gli altri animali, di fuori, guardavano dal maiale all’uomo e dall’uomo al maiale e ancora dal maiale all’uomo, ma già era loro impossibile distinguere chi, tra i due, fosse l’uno o l’altro” – 
lo ha scritto George Orwell, mica uno qualunque. Come per dire che alla vergogna non c’è mai fine e, di conseguenza, nemmeno ci si rende conto a che livelli di degrado l’uomo possa arrivare. A maggior ragione in uno stadio, in cui si gioca a calcio, sport dai mille valori, tra i quali non si annoverano certo né il razzismo né la discriminazione, di qualsiasi forma essa sia. Ma evidentemente, la frustrazione era tale, per quei tifosi, che hanno così ritenuto opportuno di spostare l’attenzione e concentrarsi su obiettivi diversi, con gesti che non hanno fatto altro che testimoniare e certificare la pochezza, quasi l’impotenza di queste persone. La propria squadra cade di fronte ad un avversario oggettivamente superiore e non si trova altro da fare che sfogare le proprie frustrazioni contro il nemico di turno. Perché nemico di questi gruppi di persone è chiunque vada contro di loro, in ogni modo, in ogni forma. Che sia un calciatore o un tifoso o forse anche uno che condivide le stesse passioni per gli stessi colori. Al degrado, non c’è mai fine. 

Poi però c’è chi risponde, con classe e civiltà. Perché l’ennesima lezione di vita proviene da quello spicchio del settore ospiti che, per 90′, si scorda dell’avversario e canta a sostegno della propria squadra. Viene da tutte quelle persone che si sentono ferite da certi epiteti ma nonostante ciò continuano per la propria strada, mostrando i veri valori del tifo e dello sport. Ancora una volta i napoletani presenti all’Olimpico subiscono il colpo e reagiscono sì, ma porgendo l’altra guancia. Perché alla fine la vittoria è degli azzurri, ma è anche e soprattutto una vittoria umana, sul campo e fuori, con tweet e messaggi, dichiarazioni forti, nonostante un Koulibaly, ad un certo punto, provato da un’ora e mezza di insulti e versacci. Poi però il centrale senegalese regala una maglietta ad un giovane tifoso biancoceleste: questa non è una lezione, ma di più.  Contributo importante, da sottolineare, lo dà l’arbitro Irrati che giustamente scrive la Storia, con la S maiuscola:  fa quello che i suoi colleghi, per qualche strano motivo, non hanno mai fatto. Sospende la gara e dimostra di avere i cosiddetti attributi, oltre ad un grandissimo senso di civiltà.

La vergogna non si ferma, a tratti continua, poi si cambia obiettivo (partono i cori su Lotito, ndr), poi si alternano invocazioni al Vesuvio e qualche applauso cerca di coprire, giustamente, quella che è l’ennesima sconfitta di una piazza e, forse senza esagerare, dell’intera Italia calcistica. Perché ieri era Roma, domani sarà Milano, un giorno Bergamo e così via, senza interruzione. E intanto dagli spalti continuano a cantare “Un giorno all’improvviso”, immagine dell’orgoglio di essere napoletani. Già, perché in Italia tutti un giorno sono Charlie Hebdo, l’altro Parigi, l’altro ancora omosessuali. Ma nessuno, per ragioni che si ignorano, vuole essere napoletano, a quanto pare. Peccato. Non sapete che vi state perdendo. Non sapete quanto sia bello avere il Vesuvio e il mare. In poche parole, non sapete quanto sia bello essere napoletani. 

Gennaro Donnarumma
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