ESCLUSIVA SN – Enzo Avitabile: “Vi racconto il mio legame con il Napoli, un rapporto popolare e popolano”

Enzo Avitabile è un artista che, con la sua musica, è riuscito a creare un linguaggio unico, capace di tenere insieme suoni provenienti da tutto il mondo. A pochi minuti dall’inizio dello spettacolo “Sacro Sud 2.0”, un viaggio che parte dal cemento di Scampia alla scoperta delle devozioni popolari, il Maestro ha gentilmente concesso un’intervista in esclusiva ai nostri microfoni.

Enzo, iniziamo parlando proprio di “Sacro Sud”, o meglio, come tu stesso lo definisci, “Sacro Sud 2.0”. Cosa rappresenta per te questo viaggio musicale e non solo?
“Sud sta per una fede che nasce nel popolo, una devozione che nasce dal basso. Tutto ciò che nasce dal basso per noi è “sacro”, inteso come significato profondo per ognuno di noi. Sud, però, vista la lingua napoletana, è anche un simbolo di appartenenza, un posizionamento ideologico. Sacro Sud è un lavoro sulla devozione, sulle confidenze che il popolo si prende con il Signore scritte da me nel cemento di Scampia. Qualcuno può definirle canti randagi, qualcuno potrebbe chiamarle preghiere spontanee, ma va oltre tutto questo: sono canzoni di speranza, che aprono ad un’altra coscienza”.

Il messaggio contenuto in “A nomme ‘e Dio” è quanto mai attuale, visto quanto sta accadendo nel mondo. Una riflessione per tutti i martiri della storia delle guerre religiose…
È naturale che questo pezzo, se l’avessi scritto questa settimana, avrebbe meno valore, perché è un pezzo scritto qualche anno fa e fa parte di Black Tarantella. Un uomo, nel nome di un Dio, uccide un altro uomo, che poi in realtà è un altro Dio. Quindi secondo me questa è una riflessione importante. È un invito all’ecumenismo di tutte le religioni, alla convivenza, ad una preghiera comune. Come direbbe Padre Pio “il foco comune”, quello che ci unisce e ci dà la possibilità di vivere insieme.

Con la tua musica, hai creato un ponte tra Napoli, l’Africa e l’America. Cosa ti lega particolarmente a queste realtà?
“Io ho creato un ponte tra Napoli e il resto del mondo e viceversa. Mi sono confrontato con suoni provenienti da tutto il mondo, non solo dall’Africa e dall’America. Suoni provenienti da Capo Verde, dalla parte araba, dall’Oriente, dal Centro Europa. È naturale che i tre eventi Napoli – America – Africa hanno un valore diverso. La mia prima parte è stata quella di incontrare i grandi della musica americana come James Brown e Tina Turner, Afrika Bambaataa e Richie Havens, Randy Crowford, e dopo quelli del mondo, della world music, come Khaled, Youssou N’dour , Manu Dibango, Goran Bregovic, Daby Tourè e chi più ne ha più ne metta. Però è naturale che oggi è un suono globale, universale, che accoglie tutte le forme espressive, comprese quelle in Italia: un pezzo tra me e Guccini è come se fosse un pezzo tra me e Mory Kante, sono cose straordinarie, e mi piacciono questi incroci”.

Negli ultimi anni, spesso abbiamo visto Enzo Avitabile collaborare ed esibirsi con le nuove voci del panorama partenopeo, come Rocco Hunt, Jovine, Clementino e ‘o Zulù. C’è qualcosa che apprezzi particolarmente della nuova generazione musicale partenopea?
“ Io adoro le nuove generazioni perché per me sono un punto luce, c’è poco da consigliare a loro. Mi piace tanto come lavorano sulle cose, sui testi. Capisco anche che forse la mia, in un certo senso, è stata una poesia madre, nel senso che da Scampia è partito un messaggio preciso, però mi hanno dato tantissime soddisfazioni in questo senso. Co’ Sang, Sangue Mostro, ‘o Zulù, Valerio Jovine, Rocco Hunt, Clemente… ormai c’è questo rapporto di militanza ‘strana’, perchè ci vogliamo bene e, sinceramente, quando stiamo insieme, non è che io mi ricordo di avere 61 anni e loro magari 32, almeno in quel momento ce ne dimentichiamo, anche se il mio contenitore è un po’ più usurato del loro”.

Napoli è una città che sa essere al tempo stesso madre affettuosa e matrigna, strazio e incanto, mille colori e mille paure. Qual è il tuo rapporto con la città di Napoli?
“Napoli è la casa madre, però in questi ultimi periodi io ho fatto delle mie considerazioni: giustamente la mia casa madre è Scampia/Marianella, però se la mia città è Scampia, Napoli è la mia terra; se la mia terra è Napoli, il Sud Italia è la mia terra e l’Italia è la mia terra; se l’Italia è la mia terra, allora il Sud Europa è la mia terra e così, via via, in questo giochino. In realtà il mondo è la mia terra e la Terra è la mia terra, quindi noi siamo padroni del mondo, ma non dittatori del pensiero, che è una cosa diversa. Siamo padroni del mondo, la terra è unica. “Terra mia”. Quindi vogliamo rendere contemporaneo il messaggio di Pino: la cosa più importante è rendere contemporaneo il messaggio di Pino di Terra Mia e cercare di non fare mai delle cose che diventino “museali”, ormai dette e ridette, altrimenti poi è preferibile muoversi poi in una contemporaneità e in una ricerca di innovazioni”.

 Parlando di Pino Daniele, c’è qualche storia che vuoi raccontare ai nostri lettori che ricorda con particolare affetto?
“Certo, ma non le racconterò mai perché fanno parte della mia vita con lui, sono i nostri ricordi. L’unica cosa che io posso raccontare è già raccontata dalle nostre note e dalle nostre parole, altro sarebbe una curiosità, ma rispetto a quelli che non ci sono più o si prega o si omaggiano attraverso il loro linguaggio della musica. Ci sono tante cose, ma significherebbe sminuire la portata della nostra amicizia. L’unica cosa che posso dire è che Pino era l’altro che ero io, abbiamo sempre avuto, senza mai parlare, un tacito accordo. Lui è immenso, però siamo sempre riusciti, con questo tacito accordo, a riuscire a far fiorire il suono napoletano attraverso i nostri testi e le nostre parole”.

“E coccheccosa nun more ma resta”, come recita una delle tue più belle canzoni…
“E come fortunatamente dici tu a me”.

Il Napoli, in una città come Napoli, è molto di più che una normale squadra di calcio. Qual è il tuo rapporto con questo sport e, più specificamente, con il Napoli?
“Un rapporto popolare e popolano. La mia parte popolana si rifà a papà, che quando il Napoli perdeva, non mangiava, e quindi io sono figlio di questa realtà, che qualcuno chiama sottocultura. Però, se non ci fosse stata la sottocultura, non ci sarebbe stata la cultura, mi spiego: se non ci fosse stato mio padre, io sicuramente non avrei studiato, e forse non avrei fatto le mie cose. Quindi io sono comunque anche “Forza Napoli”, altrimenti significherebbe rinnegare le proprie origini. Però poi divento popolare, nel senso di saggezza popolare, e mi dico: viva il calcio, se diventa strategia. Il calcio è una materia importantissima, una cosa seria perché, se io vedo una partita, non sono all’altezza di capire quanta maestria c’è dietro la tattica e una serie di cose. Quindi, se il Napoli diventa sport e il calcio diventa grande sport, io lo guardo con grande interesse. Mi piace anche “Forza Napoli”, anche se in quel caso sono meno coinvolto perché non posso andare alla partita, perché se prendo troppo freddo oppure piove perdo la voce, e quindi di conseguenza la devo solo vedere in televisione”.

Ad Enzo va un sentito ringraziamento da parte di tutta la redazione di SpazioNapoli.

Corrado Parlati
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