Oplà Insigne: gol, assist e giocate. È il trionfo di un “caso” studiato alla perfezione…

Mettiamola così: gli occhi non sanno mentire. E quelli di Lorenzo Insigne ancor meno. Ma poi, certe emozioni, come fai a nasconderle? E allora, anche un po’ bonariamente, il ventiquattro si lascia andare: ha quel sorriso beffardo con cui sa d’averla fatta franca, che quel pallonetto forse manco voleva farlo. Che quel gol, di certo, se l’aspettava tutto fuorché in quel modo.

Pazienza. Chissenefrega. Nel frattempo, un’altra pagina di storia si scrive e si commenta da sola: parla ancora una volta di quel ragazzino venuto su per cavalcare un sogno, quello di tutti. Del papà con cui litigava per i troppi dolci, della mamma con cui doveva scendere a compromessi per non svegliare tutto il palazzo con quel maledetto pallone. Dei fratelli con cui giocava e inventava, e guai se avesse perso: avrebbe pianto finché non si sarebbe rigiocato. Di uscire sconfitto, nemmeno per finta. Già allora.

RITORNO AL FUTURO – E un po’ ritorna, quest’atteggiamento. Pure oggi: che rigiocarle sarebbe impossibile, ma che di cuore e di divertimento si può ancora andare avanti. Ecco: nel corso del suo riconciliamento all’azzurro, Insigne è tornato spesso ragazzino. L’ha fatto in ogni involata sulla fascia, per ogni doppio passo riuscito, su tutti i tiri da fuori che ha saputo ben piazzare. L’ha fatto ogniqualvolta ha avuto quella geniale intuizione di non pensare, di lasciare se stesso in balia del caso. Anche quel destro, geometricamente impeccabile, ha avuto la sua sana dose d’ignoranza: ma nel senso migliore del termine, sia chiaro. Perché è venuto al mondo senza andarci su di testa, ma impattando d’emozioni pure. L’aiuto dall’alto? Il tocco finale, magico. Da polvere di stelle.

MERAVIGLIOSE IMPERFEZIONI – È che alla fine, vuoi o non vuoi, certe partite si vincono così: con leggerezza. Che per quanto i colpi possano essere duri, per quanto il tatticismo possa frenare, il “pallone” resta un gioco meravigliosamente semplice. Fatto di colpi di genio, di quelli senza ragionamento. Fatto di uomini vestiti sempre più spesso da esseri umani, e non da robot pronti a costruire l’azione perfetta. Perché è nell’imperfezione, la grandiosità del calcio. Nell’appoggio troppo corto, o troppo lungo. Nelle triangolazioni veloci capaci d’imbavagliare anche il più esperto dei difensori. In un interno destro, preso di controbalzo, senza troppe pretese, che fa esplodere un intero stadio. Negli occhi, sempre troppo vispi, di Lorenzo: che l’apre, la riprende e la chiude. Prendendosi un po’ sul serio solo nel momento in cui inventa parte del nuovo vantaggio, lanciando in avanti Hamsik: quando infila il diciassette in buca, dandogli anche il tempo del gessetto sulla punta per colpire al meglio.

SOLITO LORENZO – Dieci gol, sei assist, ma emozioni già difficilmente quantificabili. Lorenzo Insigne ad oggi ha la sua realtà nel palmo di una mano: può farne quel che vuole. E finalmente ha anche la maturità per decidere come essere, chi essere, perché essere. Di certo, dovessimo star qui in vena di consigli, il nostro sarebbe quello di lasciarsi così: semplice, anacronisticamente genuino. Come quel ragazzino in lacrime dopo aver preso gol, ma che tanto l’avrebbe avuta vinta comunque. Come tutte le volte in cui non c’ha pensato, e ha solo giocato. Come quel destro volante, capace di scherzare Padelli e di aprire al meglio il nuovo anno. Santificare le feste, ecco il primo tra i comandamenti. Quello successivo? Non commettere adulterio. In tempo di mercato, un semplice monito. È che la stella di (San) Lorenzo brilla più di prima. Molto di più.

Cristiano Corbo

 

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