Mastro Maurizio e la cura del dettaglio

Ricordo quel segno meno che mi faceva saltare l’equazione al liceo. Un maledetto segno meno in due pagine di calcoli. Potevi imprecare, piangere, dimenarti: il risultato era sbagliato. Fine della storia. Il potere dei particolari. Quelli che hanno il reso il Napoli di Sarri una vera e propria macchina da guerra. Persi, in una mattinata qualunque, in una di quelle borse formato Area 51 capaci di risucchiare qualsiasi accessorio. E colpirti nell’autostima. Una borsa made in Bologna, tra un tortellino e l’altro. Così quel geranio azzurro così luminoso se baciato dal sole, è parso improvvisamente appassito. Ma è solo una questione di prospettiva.

Dobbiamo riprendere la cura dei dettagli che avevamo fino a venti giorni fa”. Le parole di Sarri rimbalzavano tra i miei mille interrogativi post-pranzo. Uno su tutti: perchè una squadra capace di affrontare chiunque (finalmente direi) con lo spirito di una provinciale, ha un crollo mentale così evidente un attimo dopo aver afferrato la vetta della classifica? E’ una questione di maturità e di dispendio di energie, vero. Ma è anche l’eccessiva sicurezza che scade nella supponenza. Se pensi di essere guarito dai tuoi mali atavici, ci ricaschi in quell’esatto momento. Un po’ come quando impari a guidare, sei inizialmente tesissimo e attento ad ogni movimento; poi arriva il giorno in cui pensi di avere una certa padronanaza alla guida e accarezzi con maestria il primo muretto disponibile. L’applicazione mentale va continuamente allenata e migliorata. “Questa squadra non è abituata a periodi di concentrazione così lunghi”, ha rincarato la dose il mister di Bagnoli nella conferenza odierna. Staccare la spina, a questi livelli, può essere fatale. Ma Mastro Maurizio sa bene come plasmare la sua creatura.

Minuzie da coltivare. Così come un amore profondo è innaffiato dalle piccole cose, allo stesso modo una grande squadra è un insieme armonioso di minuscoli tasselli. Se ne saltano anche pochi, è caos. E sfido chiunque di voi a non aver provato déjà vu in tante circostanze della gara del Dall’Ara, con un terrificante doppio salto mortale all’indietro che al solo pensiero rabbrividiamo. Il granitico duo Albiol-Koulibaly degli ultimi tempi si sgretola se perde fiducia o se crede di potersi permettere qualche distrazione. La linea a quattro, prima oggetto di scherno per mezzo del famoso drone e poi amirata in ogni dove, era una corda di violino rammollita, con infiltrazioni mai avute in precedenza. La squadra lunga, la colpevole assenza sulle palle vaganti, è mancanza di abnegazione e di lavoro collettivo. Un marchio di fabbrica del Napoli visto finora. Ecco, la sfiducia è un altra di quelle cattive consigliere che può solo annebbiare la vista nel momento del bisogno. E strangolare l’ottimismo. Bene, un’altra rivale contro la quale si può vincere solo affrontandola.

I dettagli mostrano forme nuove, creano obiettivi inattesi, fanno la differenza. Un episodio, in una partita di calcio, è un dettaglio. Uno di quelli che cambiano il corso delle cose. E nonostante il nostro approccio sbagliato e una cattiveria latitante, gli errori di Callejon o quelli di due mostri  sacri come Higuain e Reina, determinano l’andamento dell’incontro. Ma gli episodi danno e tolgono, è inutile recriminare. L’atteggiamento e la fame, invece, non devono mancare mai. Il Legia servirà proprio per rispolverare principi e certezze. Per arrivare alla sfida contro la Roma e dimostrare come il Napoli non sia cambiato. La teoria del tutto alla mercè di un particolare.

Ivan De Vita
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