Gabbiadini ed El Kaddouri: se il rombo fosse la chiave?

Un percorso inappuntabile, dopo il giro di vite di fine settembre che ha portato in dote sicurezza e fiducia nei propri mezzi, frutto di un modulo diverso dai progetti iniziali. Il 4-3-3 la panacea di ogni male, sfruttando le caratteristiche di interpreti di livello assoluto come Insigne, Callejon, Mertens. Priorità all’ampiezza, gestendo equilibri e imprevedibilità in avanti, senza snaturare le caratteristiche di un pacchetto offensivo di livello indiscutibile, il fiore all’occhiello delle precedenti gestioni tecniche.

Non solo numeri. Numeri che contano, ma, in fondo, non sono tutto. Alla base del percorso costruito da Maurizio Sarri c’è un’idea, un calcio fluido, che si esprime in tutte le proprie peculiarità con un fraseggio ragionato ma che non rinuncia al ritmo, forsennato. La quadratura del cerchio raggiunta con una difesa ormai rodata ed una mediana in grado di esprimere qualità e quantità nella doppia fase, la fotografia di un collettivo che sciorina un calcio bello e concreto, tra i migliori nel panorama italiano ed europeo. Un modello di gioco che però conta, al massimo della resa, su 13-14 interpreti, mostrando, in casi sporadici come le sfide contro il Carpi e il Genoa, una leggera difficoltà nel ribaltare la gara quando le avversarie stabilizzano le fonti di gioco, consolidando le proprie coperture a ridosso dei punti di riferimento azzurri. La ricerca della varietà dal punto di vista tattico, mutuando il modulo di gioco a dispetto delle contingenze, delle condizioni dell’undici in campo, può rappresentare lo step definitivo per un Napoli definitivamente in grado di esprimersi al meglio, in ogni contesto.

Sapore rétro. Due elementi su tutti mostrano di potersi adattare ma, causa un calcio nelle corde diverso, non rendere al massimo nell’attuale disegno tattico. Spartito che potrebbe – nell’evenienza – anche essere ampliato, scorgendo un ritorno al passatoManolo Gabbiadini è a tutti gli effetti un patrimonio del club partenopeo, marcatore italiano secondo solo all’evergreen Luca Toni nella passata stagione. Quest’anno, però, ha visto il proprio spazio ridursi in maniera radicale. Le lodi da parte del tecnico partenopeo indorano la pillola ma, a fare da contraltare, restano i dubbi dal punto di vista tattico. Il ruolo, striminzito, da vice Higuain opprimente, un nodo in gola; quel vestito da esterno d’attacco che Sarri è ancora restio a cucire sulle spalle del numero 23 partenopeo: “Manolo è un giocatore fantastico, ma in questo momento con lui sull’esterno siamo diversi, non so se migliori o peggiori, ma siamo diversi”. Pensieri limpidi e realtà dei fatti, nel disegno attuale Callejon giostra a tutti gli effetti da tornante alla vecchia maniera, spesso schiacciato sulla linea dei centrocampisti in fase di non possesso a fornire supporto costante, e imprescindibile, agli equilibri difensivi. Non propriamente il ruolo più adatto ad un giocatore come l’ex Samp, probabilmente tra i migliori – se non il primo della particolare lista – attaccanti nel contesto tricolore. Di lì il dubbio ad insinuarsi, riportando la mente a quel feeling indiscutibile messo in mostra nei primi sei mesi azzurri al fianco del Pipita, da seconda punta mascherata nel tridente a supporto dell’argentino, marchio di fabbrica alla corte di Rafa Benitez. Un ritorno, temporaneo – a partita in corso – al disegno iniziale, a quel 4-3-1-2 oggetto di studio, lavoro e sudore in estate e accantonato dopo i primi intoppi, come ghiotta divagazione su un tema che resta la conditio sine qua non del nuovo corso azzurro.

Variante. Un’alternativa in più, per un Napoli camaleontico e in grado di cambiare il volto a gare che non sembrano garantire sbocchi, come domenica a Marassi nello sterile assalto finale. Un top club a tutti gli effetti, in grado di fare la muta a seconda delle contingenze e delle condizioni delle proprie bocche di fuoco, anche in corso d’opera. Rombo che, nel computo della valorizzazione della rosa, non garantirebbe maggiori chances solo all’attaccante bergamasco ma anche ad Omar El Kaddouri, rientrato a pieno titolo nel progetto partenopeo dopo due stagioni ad ottimi livelli all’ombra della Mole. Trequartista puro, forse l’unico in rosa per caratteristiche ed una stoffa per nulla nascosta nel pedigree del centrocampista marocchino di origine belga. Anche lui, come Gabbiadini, costretto al sacrificio, largo sulla fascia quando chiamato a subentrare. Tutto a dispetto delle sue qualità nello stretto, vertice alto a metà campo. Ossessivo nella ricerca della giocata, delle insidie a ridosso dell’area avversaria dettando il guizzo in verticale in quel limbo, dolcissimo, che separa l’assist dalla battuta a rete. Doti emerse, a più riprese, nel precampionato che ne ha consegnato impegno e abnegazione alla causa partenopea, scacciando ogni dubbio su un’eventuale – nuova – partenza. Un’arma in più, un Napoli a più facce, in grado di cambiare pelle quando necessario. Un’alternativa da non trascurare nel proseguo di una scalata che continua, progressiva, a marce serratissime.

Edoardo Brancaccio

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